ItaliaOggi, 4 maggio 2023
Pupi Avati e la politica
Il suo lungo peregrinare per programmi tv, interviste, eventi e tappeti rossi si è concluso ieri sera al cinema Odeon di Bologna, la sua città natale (abita a Roma), dove ha assistito alla proiezione del suo ultimo film, che tenterà l’avventura nelle sale: La quattordicesima domenica del tempo ordinario. A questo tour de force c’è abituato: ha girato oltre 40 film e ogni volta bisogna promuoverli. L’ultima pellicola è ambientata a Bologna ed è quasi una riconciliazione con la sua città, con cui il rapporto è sempre stato controverso soprattutto perché lui non è mai stato omologabile a un’imperante cultura di sinistra, ma scomodo pure per quella di destra poiché ha sempre espresso idee in autonomia.Questo suo ritorno a Bologna è l’occasione per indagare su un regista politicamente anomalo, di 84 anni, figlio di un antiquario di origini calabresi, sposato da 58 anni con Amelia Turri, tre figli: Mariantonia (regista), Tommaso (sceneggiatore), Alvise (animatore 3D). Racconta di sé, senza remore. Incominciamo dalla politica.
«Arrivato a Roma, nei primi anni Settanta, Laura Betti mi introdusse ai salotti, c’erano Moravia, Pasolini, Bernardo Bertolucci. Rischiavo di omologarmi e farmi assorbire, così mi è bastato affermare di essere cattolico e votare Democrazia Cristiana. L’ho fatto per difendermi e ho trovato nell’emarginazione una delle forme più efficaci per mantenere la mia identità. La solitudine, essere estraneo al salotto: la mia filmografia non somiglia in nulla ai film dell’anno, nessun mio cast e nessuna mia storia somigliano a quelle degli altri. E se faccio ancora questo mestiere forse c’è chi apprezza. Quindi è ancora possibile essere alternativi. Ci vogliono convincere che non lo è, ma è possibile. Poi c’è da aggiungere che la Dc era un partito al quale tutti i miei hanno appartenuto, allora c’era una sorta di coincidenza per cui essere cattolici voleva dire essere democristiani. Non ti davano l’assoluzione se votavi il Partito comunista. Perciò le mie origini hanno un imprinting nella Dc: mia mamma era per quel partito consigliere comunale a San Lazzaro di Savena (Bologna). Io sono un tipo di cattolico scomodo: non sono compatibile con il Pd e nemmeno con Forza Italia. Non c’è un partito che mi rappresenti, essendo intransigente nella mia dottrina cattolica: sono contro i matrimoni gay, l’eutanasia. Anche per questo sono sempre stato lontano dalla politica».
«Beniamino Andreatta venne per la Dc a propormi la candidatura a sindaco di Bologna, nel 1993. Un sondaggio di Repubblica mi considerò il più amato dai bolognesi. Fu una cosa dovuta, non c’era una particolare simpatia nei miei riguardi. Ero cattolico, ed ero il più amato e quindi, si pensava, più votato. Dissi di no. Poi venne il Pdl, mi chiesero di sfidare il candidato sindaco della sinistra, Delbono, nel 2009: non accettai. Per essere politici bisogna saper essere anche litigiosi, transitare attraverso l’inimicizia».
Giorgia Meloni. «Penso che sia una donna di una grandissima forza e di altrettanta coerenza personale. Mi commuove pensare che una donna così minuta sia alle prese con una simile responsabilità. Dovremmo essere tutti contenti che una donna ce l’abbia fatta ad arrivare a palazzo Chigi. Vedremo cosa combinerà».
Religione. «Oggi il Diavolo non esiste più. I bambini non sanno cosa sia. Il male adesso pervade tutto in modo più subdolo: è molto confuso, come il bene».
Dante, protagonista del penultimo film. «La scuola produce una distanza enorme da lui, Dante a scuola dimostra la nostra inadeguatezza. Anche le recenti celebrazioni non hanno aiutato ad avvicinarlo, anzi fanfare, tricolori e appropriazioni indebite l’hanno reso ancora più distante. Ci sono responsabilità precise di chi lavora nelle istituzioni preposte ad occuparsi di cultura. Troppi incompetenti ricoprono ruoli per cui non hanno né vocazione né competenza. Incontro spesso persone che ricoprono cariche importanti e mi chiedo come ci siano arrivate e perché possano decidere della mia vita. È curioso, siamo conosciuti nel mondo per i nostri artisti e geni del passato, ma il presente sembra non esistere. Oggi Dante farebbe di nuovo la fame».
Giovani. «Frequento tantissimo i giovani perché faccio corsi di recitazione, e divento per loro il parroco o lo psicanalista, divento il confidente: e le confidenze che ricevo da loro sono quasi sempre dolori di figli separati. Sono tutte confidenze basate sul desiderio di vedere i genitori tornare insieme. Per un figlio di genitori separati spesso non ci si rende conto della sofferenza: anche se a volte la separazione è giusta, è opportuna, dovuta a ragioni obiettive, ma è sempre motivo di dolore. Perchè poi io, che del matrimonio sono ormai un esponente eccellente, essendo sposato da 58 anni, devo dire che la parte ultima, conclusiva, quella degli ultimi anni, è la parte più bella. Il fatto di avere accanto a te una persona che ti conosce, che ti ha visto in tutte le stagioni, è qualcosa di impagabile, rispetto a un vecchio solo che vive egoisticamente dentro una casa.
Gli amici: Maurizio Costanzo: «A presentarci, nel 1972, fu Paolo Villaggio che era stato scoperto da Maurizio e avrebbe dovuto girare un film con me. Costanzo voleva conoscermi perché intendeva lavorare nel cinema. Diventammo subito amici. Lui poi ci introdusse alla Rai e mio fratello Antonio gli presentò Alberto Silvestri che sarebbe diventato il principale autore del suo show. Mio fratello e io siamo stati vicini a Maurizio anche nel suo periodo più buio, quando venne scoperta la sua appartenenza alla P2. C’inventammo il film Zeder pur di vederlo lavorare ancora ma il suo telefono non squillava più. A frequentarlo erano solo Raimondo Vianello e Cicciolina».
Lucio Dalla. «Mi telefonava sempre tardi la notte. Parlavamo della vita, della vecchiaia. Era molto religioso. Ho conosciuto diverse persone geniali, da Pasolini a Fellini, ma l’estro e la creatività di Lucio non l’ho mai vista da nessuna parte. Nel periodo in cui suonavamo jazz insieme, a lui piacevano moltissimo le ragazze, era un assatanato delle donne, innamorato pazzo della sorella dell’impresario Cremonini, l’attrazione per il mondo femminile era in lui inequivocabile. Poi, qualcosa cambiò».
Ugo Tognazzi. «Credo di dovergli gran parte della mia carriera. Venivo da due insuccessi tremendi per i quali ero stato totalmente emarginato, lui invece aveva il box-office più alto di tutti con Amici Miei e Romanzo Popolare. Si offrì di venire a fare il mio film pagato a percentuale, un gesto da malato di mente. Grazie a quel film non mi sono più fermato. Abbiamo fatto un secondo film assieme, un film sul calcio Ultimo Minuto che è uno dei suoi più belli. Il mio rapporto con lui è stato quello di una vita, con tanta commozione quando lo andavo a trovare negli ultimi tempi per la depressione che lo aveva raggiunto».
La vecchiaia. «Picasso diceva che ci vogliono tantissimi anni per diventare giovani. Penso abbia ragione. Lo sto sperimentando su me stesso. Ho un fisico recalcitrante, però intellettualmente, spiritualmente e mentalmente non mi sento quel vecchio che appaio se mi specchio. Dentro di me sono rimasto quel ragazzetto che ora trova un suo diritto di cittadinanza: i vecchi sono molto più giovani dei giovani».