il Giornale, 3 maggio 2023
Il futurismo in pianura padana
La pianura padana attraversata da Scintille futuriste. Cremona, città sonnacchiosa da sempre, e un pugno di ribelli (borghesi) che vogliono risvegliarne il cadavere con una scossa elettrica. La storia di questo manipolo agli ordini di Filippo Tommaso Marinetti è raccontata ora per la prima volta in modo organica dalla interessante mostra Scintille futuriste. Storia del futurismo a Cremona, a cura di Guido Andrea Pautasso, Silvia Locatelli e Franco Moschi (alla Biblioteca statale di Cremona da oggi fino al 16 giugno 2023). Documenti inediti e rarità bibliografiche consentono di ricostruire le vicende per niente secondarie che si sono svolte all’ombra del Torrazzo. L’avventura futurista incomincia con Enzo Mainardi e Gino Bonomi. Mainardi, giovanissimo, è già attraversato dal sacro furore che lo porta a partecipare agli scontri milanesi del 15 e 16 settembre 1914. Viene arrestato insieme con Umberto Boccioni. Mainardi è poeta discreto: aderisce al paroliberismo ma fino a un certo punto. Questo marinettismo moderato si potrebbe considerare l’anello di congiunzione tra la prosa lirica dei vociani e la stagione ormai prossima dell’Ermetismo. Bonomi è autore del Romanzo vegetale, prefazione di Marinetti stesso. Il libro è testimonianza di uno degli aspetti meno conosciuto dell’avanguardia: quello ambientalista ante litteram. I versi sono piacevoli ma è evidente il pesante debito che hanno nei confronti dei famosi Fiori di Aldo Palazzeschi. Almeno a giudicare dalle rime a catalogo, Bonomi riprende il dialogare salace di Palazzeschi ma si tiene alla larga dalla trasgressione sessuale che è il centro del componimento preso a modello. I futuristi cremonesi attraversano e riflettono i momenti chiave nello sviluppo d’avanguardia. Il primo e duro colpo è la morte nella Grande Guerra di Umberto Boccioni, non meno importante di Marinetti sia per militanza sia per intelligenza artistica. Ma il Futurismo resiste anche in mezzo alla confusione del dopoguerra, in quei tre anni in cui sarebbe potuto accadere di tutto, dal 1919 che si apre con l’Impresa di Fiume al 1922 che si chiude con la Marcia su Roma. Mario Carli, futurista e ardito, finito in carcere a Cremona è solo uno dei tanti seguaci di Marinetti che scelgono di essere accanto a Gabriele d’Annunzio nella Fiume liberata. Gli amici cremonesi procurano documenti falsi e lo fanno uscire dalla caserma, in vero non troppo presidiata. Carli parte per Fiume. Testa troppo calda, sarà rispedito indietro da d’Annunzio con la scusa di fargli organizzare la propaganda fiumana a Milano con il giornale Testa di ferro. All’interno del Futurismo c’è chi guarda con interesse ai bolscevichi (di cui si sapeva ancora poco) e chi guarda alle camicie nere, la maggioranza. L’esistenza del futurismo cremonese, sia pure limitato a pochi elementi, viene consacrata dalla convocazione del gruppo all’adunata al Teatro Dal Verme di Milano, nel 1924. Proprio in questa occasione, Mainardi dimostra il proprio fiuto politico e scrive a Marinetti una lunga lettera in esposizione a Cremona. Mainardi ha capito che il 1924 è un anno chiave per il fascismo che ha iniziato la sua transizione da forza rivoluzionaria a regime. Il cremonese ha capito anche un’altra cosa: lo stesso dilemma si pone ora al Futurismo. Un’avanguardia può essere di regime? Può accettare titoli e incarichi dal Fascismo? Non dovrebbe costituirsi in vera e propria forza politica alternativa a Mussolini? Mainardi ha capito tutto. Marinetti, alla fine, non potrà che scegliere Mussolini come compagno di strada. Comunque, Mainardi e soci non demordono. Nel 1925 pubblicano tre numeri di una rivista, Scintilla, che si infila subito in un tunnel. Scintilla si presentava «aristocratica, originale» e di una «allegria irresistibile». Purtroppo, c’è poco da ridere. Cremona è diventata la città di Roberto Farinacci, il più estremista dei fascisti. Altro che Futurismo. Farinacci vuole il ritorno all’ordine e un’arte tra il realistico e il celebrativo della alleata Germania nazista. Il sottotesto è apertamente razziale e poggia su scritti come L’arte e la razza di Telesio Interlandi. Si omaggia la razza ariana: sana, lavoratrice, patriottica. Questa volta Marinetti non può mandare giù la pillola. È un cosmopolita e un’avanguardista. Due punti non trattabili se si vuole salvare il movimento. Degenerata e giudaica non sono categorie che si possano attribuire all’arte. Il terreno di scontro è proprio Cremona, con il suo omonimo Premio. Marinetti, nella seconda edizione, dopo aver incassato nella precedente una severa sconfitta, commissiona una serie di quadri futuristi dedicati alla battaglia del grano. Dietro all’omaggio a Mussolini si cela la polemica con il ras Farinacci. Nel corso degli anni era emerso un secondo gruppo futurista cremonese che non sembra avere troppi rapporti con Mainardi e Bonomi, che si erano allontanati per fare carriera nella pubblica amministrazione (Mainardi diventa sindaco di un paese e chiama Bonomi come segretario). Anche il secondo manipolo è agguerrito e porrà l’accento sull’architettura. Aldo Ranzi, in particolare, lascerà diverse costruzioni futuriste tra le quali spicca la splendida sede della canottieri Baldesio, una sinuosa barca che sembra avventurarsi nel fiume Po. Naturalmente ci sono stati anche episodi aneddotici. A esempio, la cucina cremonese alla futurista, ecco un tris di esempi. Bombe a mano: sfera di torrone di Cremona avvolta in una grande bistecca al sangue cosparsa di vino moscato di Siracusa. Fagiano futurista: arrostire un fagiano bene svuotato, poi tenerlo un’ora a bagnomaria nel moscato di Siracusa. Poi un’ora nel latte. Riempirlo con mostarda di Cremona e frutti canditi. Non manca un manifesto per stabilire quale sia il miglior cappello da passeggio. Non manca la serata futurista con Depero. Si svolge nel 1932, ed è una conferenza sulle avventure newyorchesi dell’artista. Al di là di questi ultimi spunti divertenti, l’esperienza cremonese è significativa. Non tanto per quello che ha prodotto dal punto di vista artistico. Cremona piuttosto è stato un laboratorio complesso. Farinacci si presentava come rivoluzionario ma era un reazionario. Non di meno aveva trovato un modus vivendi con il prefetto e le altre residuali forze politiche. Questo mise al riparo la città dagli scossoni subiti da altri comuni in cui era lotta aperta tra fascismo e prefettura. Il Regime fascista, il giornale di Farinacci, divenne un caso culturale, con firme celebri in tutta Europa e il contributo determinante di Julius Evola. D’altro canto, anche forze non ostili al fascismo, come il futurismo locale, non apprezzavano che Mussolini fosse scivolato in un regime dittatoriale. In città, il vescovo era la vera autorità morale contraria alle camicie nere. In quanto ai cittadini: il consenso per il regime era di massa ma i cremonesi erano troppo cattolici per non avvertire la violenza intrinseca del Fascismo. L’ironia congenita era poi fonte di scetticismo davanti alla retorica e alle adunate. Ne ridevano i fascisti stessi.