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 2023  maggio 03 Mercoledì calendario

Intervista a Enrico Vanzina

Era ora. Al lungo elenco di riconoscimenti vinti da Enrico Vanzina - da solo e con il fratello Carlo - mancava soltanto il David di Donatello, che è arrivato ieri in versione Speciale 2023 (la premiazione della 68esima edizione sarà trasmessa in diretta su Rai1 il 10 maggio, in prima serata, a condurre sarà Carlo Conti con Matile Gioli). Questo un passaggio della motivazione, comunicata da Piera Detassis, direttrice del premio: «È sceneggiatore, produttore, regista e scrittore di romanzi di successo, un cinefilo liberal, colto e fulmineo nel trafiggere i vizi e le manie del costume italiano...». Visto che da 25 anni è una delle firme di punta del Messaggero, Vanzina dopo la notizia è venuto a parlarne nel "suo" giornale, e subito ha chiarito una cosa che gli sta particolarmente a cuore: «Con il David hanno fatto felice una persona in terra e due in cielo. Lo divido in parti uguali con mio padre Steno e mio fratello Carlo. Se lo meritavano anche loro».
Suo fratello nel 2017 disse che il David ve lo avrebbero dato solo post mortem: purtroppo, nel suo caso, aveva ragione. Perché è arrivato così tardi?
«Non lo so. Noi abbiamo vinto di tutto, ma le giurie hanno il diritto di pensarla a modo loro. L’unica cosa è che forse questo David dovevano darcelo nell’83, dopo Sapore di mare. Eravamo molto giovani, venivamo da un cinema molto comico, e sarebbe stato un bell’incentivo per noi e per tutti».
Avreste fatto altro?
«I premi possono cambiare le carriere. Se uno è portato per la commedia dopo può finire dall’altra parte. E viceversa. Diciamo che la critica dovrebbe spingere a trovare un equilibrio».
Meglio sia andata così?
«Meglio così (ride)».
La commedia soffre sempre per i pregiudizi?
«Sempre. A scrivere Guardie e ladri di mio padre, capolavoro con Totò e Aldo Fabrizi, furono Ennio Flaiano e Vitaliano Brancati, ma quandò uscì il film fu considerato robetta. Che poi andò a Cannes e vinse il premio per la migliore sceneggiatura. Chi ha raccontato meglio questo Paese dal dopoguerra in poi è stata la commedia. I giovani dovrebbero studiarla un’ora a settimana per capire chi siamo e da dove veniamo».
Perché oggi non si fanno più quei film?
«Oggi si fanno commedie ideologiche o moralistiche. Ma visto che spesso si parla dei difetti degli italiani, bisogna rispettare e non giudicare. Non vuol dire assolvere, ma capire che sono fragili. Come tutti noi. Il senso della commedia all’italiana, che oggi nessuno sa piu fare, è questo».
Qual è il segreto per durare così a lungo?
«Con il mio amico fraterno Carlo Verdone tempo fa parlavamo proprio di questo: noi siamo maratoneti che vivono in mezzo alla gente. Altri corrono da centometristi ma poi si fermano con il fiatone. Uscire da casa e mischiarsi con tutti. Tutto qui».
In America è in corso lo sciopero degli sceneggiatori contro l’uso dell’Intelligenza artificiale che minaccia il loro lavoro per il cinema e la tv: che ne pensa?
«Fanno bene. Il cinema, anche se non sembra, è tutto scritto. La lunga serialità ha trasformato gli autori in polli da batteria, ma la tecnologia può soltanto codificare ciò che è stato già fatto dagli uomini: la creatività è insostituibile».
Che informazioni inserirebbe in una ChatGpt per avere una storia in grado di vincere, forse, un David?
«Non lo farei mai. E poi i David sono democratici, hanno premiato tante storie e talenti diversi. Certo, un po’ di dati ideologici, con storie periferiche e disagiate, e un po’ di politicamente corretto aiuterebbe...».
Lo sfizio da togliersi, oggi, qual è?
«Non ho rimpianti, è andata benissimo. Però io e mio fratello volevamo rilanciare lo Spaghetti Western e non ci siamo riusciti. Per un periodo abbiamo avuto fra le mani il progetto
Colt di Sergio Leone, ma nessuno ci ha ascoltati. Immaginare Pierfrancesco Favino che fa il messicano, Diego Abatantuono il pistolero, Kim Rossi Stuart l’eroe è stato bellissimo. Comunque, se c’è qualcuno interessato: io ci sono».
Quando ha avuto la notizia del David, pensando a suo padre e suo fratello, cosa le è venuto in mente?
«Che è una trovata di sceneggiatura. Un premio a una famiglia. Mettiamola così: nel ristorante da Steno, Carlo ed Enrico ci sono rimasto solo io e ora devo cucinare, servire e stare alla cassa. Ma una cosa non è cambiata: il menu è sempre lo stesso».
Ha un altro nuovo film in cantiere?
«Anche due. Ma voglio farlo per la sala e oggi non è facile».
Con quale attore vorrebbe lavorare?
«Carlo Verdone. Mai fatto un film insieme. Posso dire un’ultima cosa?».
Certo.
«Quando si parla di me nessuno dice che dal 1990 sono anche un giornalista. Farlo mi aiuta tantissimo per scrivere per il cinema. E nel 2015 ho anche vinto il Premio Agnes. Prima del David».