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 2023  maggio 03 Mercoledì calendario

Un libro di Giordano Bruno Guerri sul Vittoriale

«Con D’Annunzio ci parlo ogni giorno, e non sono matto. È che mi occupo della sua incarnazione di pietra Tecnicamente sono la sua vedova». Così Giordano Bruno Guerri descrive il rapporto, il dialogo con il Vate. Che non è fine a sé stesso, bensì ha uno scopo preciso. «Adattare il presente alle sue volontà». Ed è con queste dichiarazioni di intenti che si apre il libro D’Annunzio. La vita come opera d’arte, edito da Rizzoli. La relazione fra un biografo e il personaggio di cui narra è quasi sempre strettissima. E da simbiosi finisce spesso per scivolare nell’identificazione. Lo scrittore presta la propria voce e si ritrova a parlare con quella altrui. In questo caso, tuttavia, le voci parrebbero distinte: una reale, una immaginaria. Potrebbe sembrare una narrazione volutamente "letteraria", quasi onirica, se non fosse che a tenerne le fila, a fare da sfondo e da mastice sta appunto un luogo solido, concreto: il Vittoriale, «libro di pietre vive». L’insieme di edifici, strade, giardini e altro ancora, che fu costruito a Gardone Riviera nel 1921.
LE STANZE
Sono i luoghi a "fare" gli individui. Sono i luoghi a dirci chi sono le persone che li hanno voluti, vissuti, amati. E Giordano Bruno Guerri - scrittore, autore di diversi profili storici, direttore di giornali, presidente della Fondazione il Vittoriale degli Italiani - lo sa bene. Si muove infatti nelle medesime stanze che aveva abitato D’Annunzio. Può vedere, in lontananza, quel bel lago di Garda che aveva visto il poeta abruzzese. Camminando per il Vittoriale, attraverso gli infiniti oggetti che lo gremiscono, se ne sente vivida e persino incombente la presenza. È, la sua, una figura che può essere amata o detestata, ma non lascia mai indifferenti. Non a caso è stato coniato il termine "dannunzianesimo", che racchiude l’individualismo, la voluttà di "una vita inimitabile", l’estetismo, il "superomismo", la fissazione del collezionismo e del lusso, ma anche il senso patriottico, il gusto della sfida, la capacità politica e di visione, l’abilità nello scrivere e nell’inventare parole nuove (come Rinascente), che furono la cifra di D’Annunzio. Tutte caratteristiche che nel libro vengono raccontate da varie prospettive. Sottolineando gli aspetti più consoni a consacrare la leggenda e non tacendo quelli meno edificanti. Emerge il Gabriele istrionico e quello libertino, il poeta e il padre, il politico e il rivoluzionario, l’ecologista e il vanesio seduttore, il capitano di ventura e l’uomo inseguito dai creditori.
LE CITAZIONI
Il punto di partenza è quel voler «fare della propria vita un’opera d’arte» che D’Annunzio attribuisce a Andrea Sperelli ne Il Piacere, ma che riassume lui stesso. Da lì la biografia si snoda in capitoli cronologicamente ordinati, scanditi da citazioni e da definizioni, inframezzati da fotografie. Foto di familiari e amici, di luoghi, cani e cavalli, di auto e aerei, di profumi a cui il Vate fa da testimonial, di manoscritti e lettere, di un guardaroba quasi femmineo nella sua vastità. E foto delle amanti che hanno costellato il cammino di un uomo deciso a sedurre non solo loro, bensì la Storia. Fra cui spicca Eleonora Duse, la Ghisola «che non meritai», come si duole con qualche compiacimento lui alla sua morte. E anche donne meno note. Quasi sempre destinate a triste vecchiaia. Ci sono i grandi accadimenti, fra cui l’impresa di Fiume, e i personaggi come Guglielmo Marconi, «mago degli spazi», dal cui yacht Elettra D’Annunzio lanciò un messaggio al mondo. Si esamina il difficile e talvolta conflittuale rapporto con Mussolini - «Il Vate non fu mai fascista» - e l’avversione dichiarata per Hitler, definito da D’Annunzio «Attila imbianchino», «ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot». Ma c’è anche l’air du temps, le smanie interventiste all’alba del Novecento, il timore della pace e dell’inazione, il rapporto con i futuristi, la passione per la velocità, le moltissime opere letterarie e le loro fortune. E il declino, poi la fine. «Tutto è presente. Il passato è presente. Il futuro è presente», aveva dichiarato il poeta abruzzese. Che, in questa intuizione, supera il proprio tempo e diviene nostro contemporaneo.