La Stampa, 3 maggio 2023
Oliver Stone difende il nucleare e Putin
Oliver Stone arriva con i rinforzi. Il celebre regista si presenta all’intervista con il Guardian con un team di sostegno composto da Joshua S. Goldstein, un professore che gli fornisce fact-checking in tempo reale e annotazioni a margine varie, e una psicologa, una donna dallo sguardo cordiale, moglie di Goldstein. «Ci sono persone che arrivano a sentirsi emotivamente coinvolte quando reagiscono all’argomento trattato dal loro film. Io sono qui nel caso qualcuno abbia bisogno del mio aiuto», spiega.
Forse i suoi servizi tranquillizzanti non si renderanno necessari, ma senza dubbio è confortante avere a portata di mano un sostegno emotivo professionale per un’intervista con quella leggendaria testa calda che è Oliver Stone. Ben presto si scopre che il regista non è alla ricerca di un duello o di un pulpito per le teorie del complotto. Con un blazer scuro di sartoria splendidamente confezionato, un fazzoletto rosso nel taschino e una camicia bianca inamidata, il regista di Assassini Nati – Natural Born Killers e Wall Street è un soggetto espansivo, forse addirittura rilassato, per le interviste. E mentre risponde alle domande annota misteriosi appunti nei margini di un foglio stampato.
Nuclear Now, basato su un libro di cui Goldstein è coautore, perora in modo appassionato la causa dell’energia nucleare. Il film ci dice di lasciar perdere l’energia eolica e solare. La risposta giusta a un mondo che sta per perdere la corsa contro la crisi del cambiamento del clima è l’energia nucleare. Stone ha calcolato che questo è il suo trentesimo film e il decimo documentario, ma pensa che tutto quello che ha diretto faccia parte di un tutt’uno collegato, e che il lavoro della sua vita sia fare film sulle «menzogne sconosciute che la gente non ammetterebbe». Da quando prestò servizio in Vietnam, è stato tassista per qualche tempo poi si è impegnato per fare film che vanno in senso contrario rispetto alle nostre narrazioni imperanti, che si tratti della teoria secondo cui Lee Harvey Oswald agì da solo quando assassinò John F. Kennedy o che «nucleare» sia una brutta parola.
Stone accenna alla sua miniserie in 12 puntate di un’ora Usa, la storia mai raccontata. «I capitoli della docuserie sfidano la Storia americana che viene insegnata a scuola. Vorrei tanto che insegnassero la mia versione, molto più accurata di tutte le loro stronzate…», dice in modo burbero. Nuclear Now è diverso da qualsiasi altro film abbia diretto Stone finora, perché è il primo «che riguarda qualcosa e non qualcuno». E qui sta la sfida. «Nel film non c’è una ragazza sexy», dice con una punta di dispiacere. «Non è come realizzare un film originale. Si tratta di assemblare, rivedere e scrivere».
Dopo aver letto il libro scritto da Goldstein e da Staffan A. Qvist, un ingegnere nucleare svedese, Stone ha provato la profonda convinzione di dover portare quel messaggio alle masse. Ha iniziato chiedendo a Goldstein di scrivere una sceneggiatura sull’argomento trattato dal libro. Il volto di Goldstein si illumina al ricordo di ciò e si mette in «modalità Hollywood» – racconta di una dinamo nucleare femmina, di un presidente americano, di uno scellerato senatore texano, di una figlia attivista. La trama, ambientata un po’ ovunque, dagli Stati Uniti alla Corea e alla Russia, si conclude con una scena di inseguimento in Arabia Saudita. Dice che Stone ha definito la scena clou della sua prima sceneggiatura «un’invenzione per un finale televisivo di merda», ricorda Goldstein. «Non funzionava proprio» borbotta Stone. I due hanno lavorato a varie versioni per un documentario, tutta una sfilza di bozze oscillanti tra le loro diverse sensibilità. Alla fine, sono arrivati a un’intesa su una sceneggiatura che, per entrambi, era opportunamente informativa e divertente (sì, potete immaginare benissimo chi la stesse strattonando da tutte le parti…). Stone è presente sullo schermo nelle vesti di un’affidabile studioso che viaggia in tutto il mondo in giacca e cravatta per parlare con scienziati e ingegneri e l’influencer di una potenza nucleare, quanto di più vicino a Julia Roberts possa esserci in questo progetto.
«Stiamo sbagliando tutto e, a fronte del cambiamento del clima, il nucleare non è soltanto una opzione: è l’unica opzione» dichiara Stone, che dice anche di ritenere Marie Curie – la fisica polacca celebre per le sue ricerche sulla radioattività – meritevole di essere proclamata santa. «La verità è che le soluzioni le avevamo, ma abbiamo mandato tutto a quel paese». Le cose andarono storte alla metà del Ventesimo secolo, quando le potenze nucleari e il rischio di una guerra nucleare furono gonfiati e Hollywood iniziò a sfornare film di fantascienza con squilibrati fosforescenti e criminali che agitavano lo spettro di una bomba atomica. Alla fine degli anni Settanta, gli ambientalisti misero in guardia dai pericoli di qualsiasi cosa avesse a che fare con il nucleare, e suonarono l’allarme per le scorie nucleari, facendo uscire fuori di testa il pubblico americano.
«Le scorie nucleari non sono un problema: sono perfettamente gestibili, soprattutto se le si mette a confronto con le scorie del gas, del petrolio e del carbone, cavolo!» dice Stone. «Con il passare del tempo la situazione diventa sempre più sicura, perché la radioattività decade» prosegue gesticolando con la mano destra. «Altrettanto non si può dire di arsenico e piombo mercurio che sono nei pannelli solari e in molte altre cose». Il film sottolinea anche il fatto che ci sono state molte meno vittime riconducibili ai disastri nucleari di Chernobyl, Three Mile Island e Fukushima rispetto ai livelli fatali di inquinamento prodotti in tutto il mondo dal carbone e da altri combustibili fossili.
Stone, in ogni caso, lascia che sia Goldstein a occuparsi dell’aspetto scientifico dell’argomento, ma si agita quando si tratta di parlare di allarmismo. «I politici hanno potuto mietere voti inculcando paura e mettendo in allarme la gente. Poi, però, è difficile fare marcia indietro, dopo molti anni, e dire: “Beh, veramente adesso abbiamo cambiato idea. Ci siamo resi conto che il rischio peggiore è il cambiamento del clima e che quello che vi avevamo detto in verità era esagerato"». Naturalmente, Oliver Stone ha letto tutti gli articoli scientifici di chi è contrario al nucleare. «Bisogna stare attenti quando li si legge: è come assumere una dose d’acido» dice il regista. Grazie al cielo, Goldstein era in «modalità rapido intervento» ed è stato tempestivo nel rivedere le prove scientifiche e mettere a tacere i dubbi di Stone. Goldstein indica un cartello rosso che segnala l’uscita, affisso sulla parete di fronte dell’ufficio in cui ci troviamo, e fa presente che contiene piccole tracce di trizio, lo stesso isotopo radioattivo presente nelle vasche della centrale nucleare di Fukushima. «Ha un’emivita breve e non si accumula nel corpo, è innocuo» dice.
Oliver Stone vive a Los Angeles e ha vinto tre Oscar, ma non si considera parte del firmamento di Hollywood. Sembra che con questo progetto la sua estraniazione sia addirittura aumentata. «L’industria del cinema non è mai stata tenera nei confronti del nucleare, da “Silkwood” a “Sindrome cinese” a tutti i film horror degli anni Cinquanta» dichiara. Che cosa segue Oliver Stone? Proprio il mix idiosincratico che ci si potrebbe aspettare da lui. Segue Rumble, la piattaforma canadese di video tendente a destra e sostenuta dal capitalista di rischio conservatore Peter Thiel; il servizio di informazione RT dello Stato russo; e Al Jazeera. Per quanto riguarda la sua collocazione nello spettro politico americano, dice di sentirsi «all’estremo centro». Si tratta di un’espressione abbastanza accattivante, ma anche senza senso, no? «A me interessa la verità» dice ellitticamente, «e stiamo scavando per trovarla e tirarla fuori. Penso di essermi imbattuto in un argomento molto importante, il cambiamento del clima». Il prossimo documentario di Stone, sul presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva è «quasi pronto».
Con i suoi 76 anni, Stone è di quattro anni più giovane di Biden. «Il mio presidente preferito è stato John Kennedy. Se mettiamo accanto i due irlandesi, notiamo che John Kenedy amava la pace, mentre Joe Biden è un freddo guerriero. Nel senso peggiore del termine».
L’ultima volta che il Guardian US ha profilato Oliver Stone, il regista aveva appena portato a termine un documentario di quattro ore stranamente benevolo su Vladimir Putin (all’epoca disse che «il popolo russo non è mai stato meglio di ora»). I suoi sentimenti nei confronti del leader russo sono cambiati da allora, in questi ultimi anni complicati? «Penso che la Russia stia facendo un ottimo lavoro con l’energia nucleare» dice. «Anche la Cina è leader in questo settore, pur non avendo mai potuto metterci piede io, il che è un peccato. Ma Putin è un grande leader per il suo Paese e il popolo lo ama». Il regista non è disposto a spingersi oltre. Ha già detto abbastanza. —
Traduzione di Anna Bissanti