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 2023  maggio 03 Mercoledì calendario

Intervista a Sonya Yoncheva

«Adoro il silenzio in sala. Quel vuoto carico di energia che si crea attorno a cantanti e orchestra appena terminata la musica, quando il pubblico esita ad applaudire perché ancora preso dall’emozione di ciò a cui ha assistito. Per vivere momenti del genere vale la pena salire su un palcoscenico».
Ed è appunto per ricreare ogni sera quell’attimo che da quindici anni Sonya Yoncheva canta l’opera. Al soprano bulgaro, nome che brilla nei cartelloni internazionali, il teatro dà voluttà. Eppure le regole dello star system talvolta la opprimono. Perciò ha voluto avviare una casa di produzione tutta sua. Le interessa lavorare senza vincoli su progetti artistici che le stanno a cuore: l’album The courtesan, “la cortigiana”, uscito a febbraio, adesso il libroFifteen mirrors, stampato in bulgaro e a giorni in inglese, dove racconta le quindici eroine del melodramma nelle quali si rispecchia. «In tanti mi chiedevano un’autobiografia, ma quarant’anni d’età mi sembrano ancora pochi per tirare bilanci. Quindi ho deciso di scrivere di me attraverso le maschere che indosso, mettere in parallelo la vita vera con quelle che vivo in scena», confessa. Nel frattempo torna alla Scala perAndrea Chénier di Umberto Giordano, da oggi al 27 maggio, ripresa dello spettacolo firmato Mario Martone, sul podio Marco Armiliato. Nel ruolo del titolo il tenore Yusif Eyvazov (e il divo Jonas Kaufmann per le ultime due recite).
Il suo personaggio in “Chénier” è quello di una fanciulla che va al patibolo per non lasciar morire da solo l’uomo amato. Si identifica anche in una figura così?
«In Maddalena, nel suo cuore dolce e onesto, rivedo la ragazza che sono stata e la donna che sono diventata.
So che la vita non è una nuvola romantica, l’ho compreso a poco a poco. Ma amare è esistere. E l’immolarsi per amore, nell’opera, non va interpreto letteralmente, bensì come simbolo di quanto sia potente e travolgente questo sentimento».
Tuttavia la figura di donna che più l’affascina è quella della cortigiana. Perché?
«Come una cantante, la cortigiana si offre al piacere altrui. Adorata o detestata, ripudiata o concupita, provoca sempre passioni eccessive in chi la attornia. È l’ebbrezza e il dramma a cui siamo soggette noi cantanti, ogni giorno».
Dunque la “Traviata” sarà un capitolo cruciale del suo libro…
«Insieme a Tosca, altra giovane che ama alla follia il suo uomo, mentre di un altro, cinico, arrogante, diviene preda incolpevole. Se fosse astuta ci potrebbe andare a letto, così salverebbe l’amato e sé stessa dallamorte. Invece è pura, diretta, non cede ai compromessi, e sceglie di ammazzare il bruto».
A lei è mai capitato di subire attenzioni moleste?
«Sì, e non si sa cosa fare per svincolarci, quali parole trovare per non attizzare reazioni ulteriori, magari violente. Io ho potuto reagire con fermezza. E sono scappata».
Come mai ultimamente ha sentito la necessità di trasformarsi in imprenditrice di sé stessa?
«Perché sono libera. Uno dei miei idoli è Veronica Franco, cortigiana veneziana del Cinquecento, poetessa protofemminista che ha lottato strenuamente per i diritti delle donne. Nel mio piccolo ho voluto liberarmi da certi condizionamenti del mercato discografico che ti impongono cosa registrare, con chi, come presentare il prodotto. Resto comunque un’artista Sony, ma per The courtesan ho scelto da sola la direzione da prendere. Anche addossandomi rischi finanziari. La libertà li vale».
Anche i suoi concerti sono autoprodotti, vero?
«Quelli che tengo in Bulgaria. Altra scelta d’indipendenza. Dato che nella mia patria è il governo a finanziare la musica, a me non va di ricevere, sia pure indirettamente, soldi dalla politica. Credo che gli artisti siano espressione dell’umanità, figure di pace, e tali devono mostrarsi al pubblico.
Ragion per cui mi pare insensato pretendere da loro affermazioni di stampo politico».
Ad alcuni artisti russi, come ad Anna Netrebko e Valerij Gergiev, è stato chiesto di prendere apertamente le distanze da Putin, a cui sono sembrati troppo vicini...
«Gli artisti dovrebbero avere l’intelligenza o l’istinto di evitare le trappole dei politici. Spesso sono stata sollecitata ad accettare premi conferiti dal governo bulgaro, ma ho rifiutato qualora servissero da pura propaganda politica. Non voglio che le mie foto con i vertici dello Stato siano poi usate a fini elettorali. Se tutti facessero come me, eviterebbero ogni equivoco».
Lei è nata nella Bulgaria comunista. La sua infanzia ne è stata segnata?
«Sì, nel senso che l’esempio di mio nonno, anticomunista, mi ha spinto a percorrere la strada dell’indipendenza intellettuale. Ci fosse ancora il comunismo lì, sarei di sicuro in galera».
Vero che lei, bambina, faceva pratica da meccanico d’auto nell’officina di suo padre?
«Avevo talento a riparare le macchine. Ora che sono tutte computerizzate non ci riesco più. Ma datemene una di venti, trent’anni fa, e vedrete se non scovo subito il guasto».