la Repubblica, 3 maggio 2023
La battaglia da intelligenza artificiale e giornalismo
Democrazia e libertà sono a rischio di estinzione. D’accordo, questa denuncia l’avete già sentita tante altre volte, e la tendenza ormai sarebbe quella di girare pagina come si fa quando uno grida troppo al lupo. Però no, stavolta parliamo di alcune minacce molto concrete, dall’avvento dell’intelligenza artificiale all’abuso dei social, dalla ricandidatura dell’ex presidente americano che aveva giustificato l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 alle brame imperialiste di Putin, di cui diversi protagonisti hanno discusso nei seminari organizzati dalla Facoltà di Giornalismo della Columbia University, alla vigilia dell’annuncio dei premi Pulitzer.
L’intelligenza artificiale al potere – Alessandra Galloni, l’italiana che ha salito tutti i gradini della gerarchia della Reuters fino alla direzione, ha avvertito: «Noi usavamo da tempo l’AI per l’analisi dei prodotti finanziari, ma ora dobbiamo capire che stiamo entrando in un altro mondo». Quale lo ha spiegato il collega del New York Times,Joe Kahn: «Qualche giorno fa sono stato nella nostra redazione di San Francisco, e tutti usano l’intelligenza artificiale. Abbiamo redattori che la mattina a colazione, invece di parlare con la moglie, iniziano la giornata chiacchierando con l’AI per scambiare giudizi sulle idee dei loro articoli». Perciò ha messo le mani avanti: «Io sono assolutamente favorevole alla sperimentazione in questo settore, però andandoci piano, perché non possiamo permetterci di commettere errori. Fin da ora posso garantirvi una cosa: sul New York Timesnon verrà mai pubblicato un articolo scritto dall’intelligenza artificiale, senza la supervisione editoriale di un redattore in carne ed ossa». È un problema che riguarda la disinformazione, perché secondola direttrice del Washington PostSally Buzbee sta già emigrando dai social verso l’AI, che permette di costruire truffe colossali ai danni del pubblico: «Ormai la disinformazione non è più un pericolo a cui bisogna prestare attenzione, ma una minaccia su cui dobbiamo indagare e scrivere, per informare il pubblico degli imbrogli che stanno accadendo». Axios ha avvertito che quelle del 2024 sono già le prime presidenziali nell’era dell’intelligenza artificiale, perché dai “deepfake” in circolazione alla raccolta dei dati, dalla ricerca dei donatori alla scrittura dei discorsi, molto passa per i robot. Mark Hansen, direttore del Brown Institute of Media Innovation, ha cercato di mitigare il panico per la “generative AI”, dimostrando nella pratica come i Large Language Models tipo ChatGPT o GPT-4 possono tornare utili in redazione, per gestire i dati o altre funzioni pratiche essenziali. Certo, ma nessuno crede che ci fermeremo qui.
I social nemici – Il nuovo preside della facoltà di giornalismo della Columbia Jelani Cobb ha detto che i giornalisti dovrebbero abbandonare Twitter: «Potete tenere i vostri account per vedere cosa succede, ma dovreste smettere di partecipare alle discussioni o twittare, perché ormai non è più una piattaforma neutrale». Vicino a lui c’era la famosa whistleblower di Twitter Anika Navaroli, italiana d’origine, che aveva denunciato al Congresso come Twitter veniva abusato anche prima dell’assalto del 6 gennaio, ma nessuno aveva mosso un dito. Ora è anche peggio: «Elon Musk non è matto. Ha un chiaro disegno in testa: ha scelto una parte nella guerra culturale e usa Twitter come arma per promuoverla». Quindi ha aggiunto: «Non pensiate che le violenze e gli abusi visti nei paesi autocratici siano così distanti da noi. Almeno metà della popolazione americana è pronta a fare lo stesso, e i social l’aiutano ad organizzarsi».
Gli autocrati al potere – La preoccupazione riguarda soprattutto Trump. Non per un pregiudizio ideologico, ma perché lui stesso ha detto che il suo vice Pence, per esempio, meritava di essere impiccato per il rifiuto di manipolare i risultati delle presidenziali vinte da Biden. I grandi media americani scontano ancora il peccato di averlo assecondato nel 2016, perché faceva audience, ma ora Kahn è netto: «Il secondo mandato di Trump sarebbe una minaccia istituzionale per il futuro della democrazia negli Usa. Però adesso sappiamo molte cose che allora non conoscevamo, e siamo più attrezzati a contrastarlo». La Cnn ha già organizzato un’intervista modello townhall con Donald la settimana prossima, ma Buzbee ha scelto una linea diversa: «Non gli daremo più il microfono senza contraddittorio. Quando è stato incriminato abbiamo fatto la diretta da Mar a Lago con la sua risposta, ma appena si è messo a ripetere bugie abbiamo staccato». Sullo sfondo poi ci sono le altre tre inchieste aperte, e il rapporto con la Russia che secondo Kahn tornerà sotto la lente, perché «alla fine le minacce alla stabilità globale che Putin aveva lanciato col consenso di Trump si sono realizzate».
La guerra culturale – Il problema negli Usa è che lo scontro non riguarda più le differenze politiche, ma i “valori non negoziabili”, che per definizione escludono il compromesso e portano allo scontro frontale. Come ha sperimentato la trans Gina Chua, già direttrice della Reuters e ora leader diSemafor: «In certi stati non posso nemmeno andare più al bagno, perché sennò mi arrestano». Un inflection point del mondo e della società, come ripete Biden. Non un vacuo grido al lupo, ma un punto di flesso che minaccia di cambiare per sempre la nostra storia.