la Repubblica, 3 maggio 2023
Dal “terzo polo” al Riformista
L’ uscita del rinnovato Riformista con direttore politico Matteo Renzi (Andrea Ruggieri responsabile) suscita attenzione e curiosità in alcuni, ma solleva al solito le ironie e i sarcasmi di vari ambienti a sinistra, da settori del Pd ai Cinque Stelle. Gli argomenti non sono inediti. Cos’altro vogliono dal Terzo Polo che ormai è naufragato? Che senso ha fare un giornale, peraltro destinato a vendere poche copie, quando il giocattolo politico si è già rotto? E poi, chi può credere che la testata non finirà per essere il gazzettino di Italia Viva, quando invece pretende di definirsi come quotidiano di idee?
Nessuno in effetti è in grado di prevedere come andrà questa avventura editoriale, certo in controtendenza in un’epoca in cui il messaggio politico viaggia sulle ali della propaganda spicciola: un populismo mascherato e talvolta nemmeno quello, sia a destra sia a sinistra. Del resto non aiuta l’impopolarità di Renzi. L’ultima analisi di YouTrend lo colloca ultimo nel gradimento degli italiani, con il 13 per cento, appena sotto il suo ex socio Calenda, 15 per cento. Tuttavia è opportuno vedere la vicenda da un’altra angolazione. Proprio perché il Terzo Polo nella sua identità originaria è tramontato, si apre l’opportunità di un’iniziativa diversa.
Una sfida non da poco: meno acrobazie per mettere insieme un 7-8 per cento utile a contrattare candidature e poltrone, maggiore capacità di nutrire un dibattito pubblico che diventa più banale di giorno in giorno. In fondo, è vero: come uomo di intrighi e congiure di palazzo, Renzi si è costruito una fama sinistra che gli resterà appiccicata addosso. Ma ora ha la possibilità, se sarà all’altezza, di coprire un vuoto in un panorama politico radicalizzato.
Non è questione di resuscitare il fatidico “centro”, mai come oggi misterioso e inafferrabile come un’isola mitologica; bensì di riportare il bipolarismo all’italiana, assai contraddittorio, sul terreno dei fatti concreti, anziché abbandonarlo tra le nuvole degli ideologismi. Il migliore esempio arriva dalla polemica sul taglio del cuneo fiscale. Giorgia Meloni ne ha fatto una bandiera sulla base dell’equazione “la sinistra in piazza a cantare, noi al lavoro per mettere un po’ di soldi nelle tasche degli italiani”. Di fronte a questa operazione, i 5S difendono il reddito di cittadinanza e il Pd, per bocca di Elly Schlein, propone di aumentare le tasse (immobili, rendite finanziarie). In sostanza si rischia di fare, in modo certo inconsapevole, il gioco della propaganda meloniana. La premier parla di una cifra fino a 100 euro in busta paga – in realtà sarà di meno, tranne i casi di salari molto bassi – e la sinistra ribatte proponendo più tasse.
Viceversa il giornale di Renzi attaccherà la premier da un punto di vista, diciamo così, liberale: le farà notare che il taglio è poca cosa rispetto a quelli effettuati in passato da altri esecutivi. In particolare, è ovvio, pensando agli 80 euro del governo renziano.
Può sembrare una polemica destinata a non andare lontano e invece è un confronto interessante. Due punti di vista legati a una visione manichea e in me zzo una sorta difact checking
che esprime desiderio di razionalità. E di chiarezza verso il cittadino.
In altre parole, c’è forse spazio per un giornale che dice di voler interpretare un riformismo ancorato ai dati. Vale nell’economia come nella giustizia, nella scuola come nella politica estera e verso l’Unione europea. Quando Renzi afferma di non essere interessato a pubblicare un gazzettino personale, ha diritto di essere messo alla prova. Semmai il dubbio riguarda la sua costanza quotidiana, la tenacia, la capacità di alimentare ogni giorno una campagna di idee senza scadere nella rissa. E senza usare la testata come semplice scudo per andare in televisione, ospite di quei talk show di cui vorrebbe essere l’alternativa.