Corriere della Sera, 3 maggio 2023
Intervista a Carlo Rovelli
Professor Rovelli, lei è filorusso?
«Detesto la politica del governo russo e di Putin. Penso sia una delle peggiori al mondo. È all’opposto dei miei valori politici. Non sono filorusso».
Qual è la sua opinione sull’invasione dell’Ucraina?
«Condanno la Russia con tutta la convinzione possibile. Invadere un Paese, bombardare città, uccidere soldati e civili, è un crimine orrendo. Penso che tutte le persone oneste dovrebbero condannare senza alcuna ambiguità. L’invasione ha creato un dolore inimmaginabile, questo è imperdonabile».
Allora perché dissente da chi critica l’invasione di un Paese da parte di una autocrazia?
«Perché la guerra, i bombardamenti e i massacri sono un male indipendentemente dal sistema politico del Paese che scatena la guerra. Condannare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia dicendo che il problema è che una autocrazia ha invaso una democrazia equivale a dire che invece se è uno Stato democratico a invadere, bombardare e uccidere, allora va tutto bene. E infatti molti che condannano l’invasione dell’Ucraina erano d’accordo con le invasioni dell’Afghanistan, dell’Iraq, e tutte le molte altre a cui abbiamo partecipato noi. Questa è l’ipocrisia che ho provato a denunciare: l’idea che noi ci riteniamo in diritto di uccidere e poi ci scandalizziamo se lo fa un sistema politico che non ci piace».
Perché lei dà sempre l’impressione di mettere sullo stesso piano la Russia e le democrazie occidentali?
«Ovviamente non sono sullo stesso piano. Forse è perché reagisco all’estremo opposto: la santificazione dell’Occidente, e l’idea che l’intero resto del mondo sia da controllare sotto il dominio di un solo Paese. L’Occidente è la mia patria e la amo. Ma voglio vivere in pace con il resto del mondo, non detestare il resto del mondo, come molti spingono adesso a fare».
Non si accorge di utilizzare così il principale strumento della propaganda russa?
«Da sempre i guerrafondai accusano chi consiglia cautela di essere “dalla parte del nemico”. È la logica del “o da una parte o dall’altra”. È la logica che porta alla guerra, invece che alla pace».
Ammesso che lui voglia davvero farlo, perché si dovrebbe trattare con Vladimir Putin?
«Perché si tratta con i nemici, non con gli amici, ovviamente. Il problema non è quale sistema politico ci piace o meno. Il problema è fermare una carneficina in corso. Trovare un modo di convivere su questo pianeta senza massacrarci. Combattere con le idee, con l’esempio, con i risultati, non con le bombe».
Ma poi in concreto serve un punto di caduta. Quale potrebbe essere per lei?
«Ad esempio, un immediato cessate il fuoco. E un vero referendum nelle zone contese, strettamente controllato dalle Nazioni Unite. Questo, d’altra parte, avevano firmato sia la Russia che l’Ucraina negli accordi di Minsk, approvati dalla risoluzione Onu 2202. Più o meno, questo è quanto suggeriscono il Papa, i brasiliani, i cinesi, gli indiani. Insomma, la maggior parte del mondo, la parte ragionevole del mondo».
A parte il Santo Padre, non le suggerisce qualcosa il fatto di avere appena citato tre dei principali Paesi che non hanno condannato l’invasione in Ucraina?
«Quei Paesi sono una metà degli abitanti e dell’economia del mondo. Di compromessi se ne possono trovare molti. E ci sono persone capaci di trovarli, se c’è la volontà politica. Invece i guerrafondai che traggono vantaggio economico o politico dalla prosecuzione della guerra vogliono vincere tutto fino in fondo, continuare la guerra, umiliare il nemico. Non lo sto inventando: è quello che dicono. Questo a mio parere è sbagliato, sia dal punto vista morale, perché crea altro dolore, sia dal punto di vista razionale. Perché cercare la vittoria totale è andare verso la Terza guerra mondiale. Non lo sostengo solo io, mi sembra. Anche Emmanuel Macron ha detto cose simili, per esempio».
Esiste una possibile via tra pacifismo e arrendevolezza rispetto alla Russia?
«Le guerre si protraggono a lungo perché nessuno vuole essere “arrendevole”. È la logica del gorilla. Sediamoci attorno a un tavolo e cerchiamo un punto di equilibrio senza ammazzarci».
Glielo dice lei a Putin?
«Nella comunità internazionale esistono persone ragionevoli che sanno farlo, e non si scoraggiano davanti a un muro. La Storia è fatta anche da queste persone. Ci riuscirono perfino americani e russi nel momento più duro della guerra fredda e dello scontro capitalismo-comunismo».
Lei pensa ancora che bisognasse «normalizzare» l’Isis e trattare con i suoi capi, come affermò qualche anno fa?
«Penso che se noi, e dico noi perché anche l’Italia ha partecipato, non avessimo invaso l’Iraq per motivi perfino più futili di quelli per cui la Russia ha invaso l’Ucraina, non avremmo scatenato l’inferno che è diventata ora quella zona, dove si muore ancora di guerra. E ogni volta invece si ammazza qualcuno di nuovo, pensando che ammazzando si risolvano le cose. Niente è risolto in quella zona del mondo, si muore ancora di guerra. E ci sono ancora basi straniere di ogni tipo. Non credo che esistano “mostri”: si può parlare con tutti gli esseri umani. L’Italia di Andreotti e Craxi lo faceva, senza paura di irritare».
Non è che dietro le sue opinioni si nasconde sempre il solito antiamericanismo?
«Ho vissuto per dieci anni negli Stati Uniti e avevo preso la nazionalità americana. Ho apprezzato molte cose dell’America. Ma rimprovero agli Stati Uniti le troppe guerre: sono stati pressoché costantemente in guerra negli ultimi settant’anni, senza mai essere stati davvero attaccati da un Paese straniero. Soprattutto rimprovero loro quelle, come l’Iraq, che hanno demolito l’idea bellissima del rispetto della legalità internazionale. Ma il passato è il passato, non ha importanza. Quello che temo adesso è che gli Usa cerchino lo scontro con la Cina, nel timore che poi quest’ultima cresca troppo per poterla battere militarmente».
Era consapevole della possibilità che il suo intervento al Primo Maggio sollevasse un polverone?
«Ho detto quello che pensavo. Molti hanno apprezzato. Qualcuno no. È normale, in un Paese democratico».
Possibile che la colpa sia sempre della gente che non capisce?
«Non c’è nessuna colpa. Penso piuttosto che possa esistere un sano dibattito civile su cosa fare. Penso che la maggioranza degli italiani non vogliano essere coinvolti in nuove guerre e nuove provocazioni. Cosa ci vanno a fare le nostre portaerei nel mare della Cina, se non a provocare? Non siamo i padroni del mondo, dobbiamo convivere con il mondo. Io non ho visto molte portaerei cinesi davanti a Chioggia. La stampa italiana ha riportato che questa missione ha anche lo scopo di mostrare ai vari Paesi i prodotti militari italiani che potrebbero comprare: a me sembra scandaloso che la nostra Difesa, guidata da una persona così vicina alle industrie belliche, si occupi di fare il piazzista di armi, invece di occuparsi della difesa dell’Italia dalla guerra».
Si aspettava la «precisazione» da parte della conduttrice del Concerto del Primo Maggio?
«Sì. Immagino che gli organizzatori abbiano avuto timore di essere rimproverati dal governo».
Risponderà all’invito a pranzo del ministro Crosetto?
«Ho apprezzato la cortesia e la signorilità con cui il ministro ha risposto alle mie critiche. Ma non si tratta di una questione fra me e lui. Si tratta di un problema politico che vorrei discutesse il Paese, non lui ed io a cena. Poi ovviamente per me sarà un piacere incontrarlo, se lo desidera».
Qual è il problema politico?
«La guerra che sta crescendo nel mondo. La posizione bellicosa di questo governo. La politica dell’Italia scivola sempre più dal pacifismo tradizionale del nostro Paese a un asservimento alle posizioni più estreme e bellicose di alcuni dei nostri alleati. Penso che alcuni grandi paesi stiano soffiando sul fuoco e spingendoci verso la Terza guerra mondiale. Per miopia, ci vogliamo accodare. Per “sedersi al tavolo dei vincitori”, che è stata la motivazione dell’Italia per entrare nella Seconda guerra mondiale, con il ben noto disastro che ne è seguito».