la Repubblica, 30 aprile 2023
Intervista a Lara Cardella
Trentaquattro anni dopo si fa chiamare Graziella, vive a Bergamo, fa la prof di Lettere e in Sicilia non torna da dieci anni. «Mi mancano il mare, le sarde a beccafico di mia madre e i templi di Agrigento. Ma l’estate resto quassù, accanto all’ospedale dove mi curano, se nessuno mi riconosce sono felice, Lara è storia di ieri, a diciannove anni due milioni e mezzo di copie possono travolgerti e sì, io ne sono stata travolta». Era il 1989. Lara Cardella, sconosciuta studentessa di Licata, scrive Volevo i pantaloni e – racconta – “il mondo crollò”. Successo e ferocia. Poco più di cento pagine, un titolo fulminante. «Mi chiamavano tv e giornali di tutta Europa, ma a Licata non potevo uscire di casa: venivo lapidata di parolacce. Ero la buttana che aveva infangato il paese».
Oggi la sua casa è al Nord. Un esilio?
«Figuriamoci. A Bergamo sto benissimo. La felicità dell’anonimato. Quando mi presento con il mio vero nome, Graziella, nessuno si ricorda di Lara. Sono la prof Cardella. Un mestiere che adoro».
È vero che tutto è iniziato con una brioche?
«Era la scommessa con una mia amica sul concorso lanciato da “Cento cose” per scrittori esordienti. Se avessero respinto il mio manoscritto, come sostenevo, avrei pagato io».
Invece?
«Pagò lei. La Mondadori mi telefonò durante le vacanze di Natale. C’erano i telefoni fissi. “Cerchiamo la signora Cardella”. Credevano fossi una cinquantenne che si faceva passare per ragazzina».
Volevo i pantaloni racconta di Annetta che si ribella al patriarcato, subisce uno stupro in famiglia e l’omertà di un paese. Un bestseller in 15 lingue. Cosa è cambiato?
«Niente».
Come niente? Sempre più donne laureate, politiche, avvocate, ministre.
«Sempre più ragazzine che vivono nel culto della bellezza per piacere ai maschi. Lo vedo nelle mie classi.
Sono più realizzate, ma nel fondo sono prigioniere del ruolo. E se restano incinte non possono dirlo ai genitori. Come a Licata quando ero ragazzina».
Parla di una sua allieva?
«Mi chiese aiuto. Aveva 16 anni e voleva abortire. Diceva che i genitori l’avrebbero cacciata. L’ho indirizzata dal giudice tutelare, così vuole la legge, poi all’ospedale. E dallo psicologo».
Nove libri. Ma lei resta Cardella di Volevo i pantaloni.
«Una ragazza normale ha venduto centomila copie. Ma visto che ne avevo vendute due milioni e mezzo è stato considerato un insuccesso. Per questo mi sono stufata di pubblicare».
Anche di scrivere?
«No. Ho tre libri nel cassetto».
Perché i suoi concittadini la odiarono?
«Ero il fenomeno del momento. Giovanissima, siciliana. Mi invitò Maurizio Costanzo. Dal palco del Parioli denunciai quello che tutti sapevano».
Il sessismo della sua città?
«Non parlavo di Licata, mai citata, ma del tormento dell’essere guardate unicamente come oggetti sessuali».
Ricordo l’esempio di un gelato.
«Tu mangi un gelato per strada, dunque lo lecchi ? Sei puttana».
Possibile? Erano gli anni 90.
«Non me l’hanno perdonata».
Si è pentita di averlo scritto?
«No, e poi a cosa servirebbe?».
Volevo i pantaloni diventa uno slogan di emancipazione. Lei però si ritrova a Gela, casalinga, accanto ad un uomo violento.
«Marco è stato il mio grande amore, non rinnego niente. Ma era tossicodipendente e di una gelosia morbosa. Però con lui ho avuto mio figlio Junior, un grande dono.
Quando Marco è finito a San Patrignano ho capito che dovevo andarmene».
Di cosa vivevate?
«Diritti d’autore. Sfumati in un divorzio drammatico durato dodici anni. Voleva la custodia di nostro figlio. Mi mandava la polizia ogni notte per controllare che il bambino fosse in casa».
Dopo Marco chi è arrivato?
«Un’infinità di altri uomini, uno soltanto importante».
Il nome?
«Lasciamo perdere, è famoso».
È vera la statistica che le attribuisce trecento uomini?
«Direi cinquecento. Mai voluto essere casta».
Una provocazione?
«Decida lei».
Ora vive da sola?
«Con mio figlio. In attesa che spicchi il volo».
Ancora sugli uomini. In una intervista per “Epoca” del 1995 il portiere dell’Inter Pagliuca le confessò le sue notti sexy.
«Uno scandalo. Sacchi lo licenziò».
Ha detto che Loredana Bertè le ha salvato la vita. Voleva morire?
«Era un momento buio, ma non volevo suicidarmi. Lo psichiatra mi aveva dato un cocktail di farmaci troppo forte. Quella sera avrei dovuto incontrare Loredana. Al telefono non rispondevo. Così lei chiamò il residence in cui vivevo. Ero in coma. Quindi sì, mi ha salvata».
Gli amici famosi?
«Dacia Maraini, Giordano Bruno Guerri, Vittorio Sgarbi. E le conversazioni con Moravia».
Ha la voce roca, fuma ancora?
«Intende dopo il cancro? Sì. Pazienza. Sono stata operata nel 2021, mi hanno tolto mezzo polmone e poi ri-operata per un aneurisma cerebrale. Mi ritengo una sopravvissuta. Ho dolori lancinanti. E dopo la malattia non amo farmi vedere».
Cosa la rende felice?
«Insegnare».
I suoi studenti hanno letto Volevo i pantaloni?
«Naturalmente no. Preferisco che leggano Dante».