la Repubblica, 30 aprile 2023
Bernardo Melotti, 17 anni, il piccolo chimico chiamato da Harward
La chimica l’ha scoperta da bambino sfornando torte e bignè. «Volevo capire perché l’albume si montava e il latte no» dice. È scattata così la passione per gli elementi della tavola periodica del bolognese Bernardo Melotti, 17 anni, quarta liceo scientifico alle scuole Malpighi, entrato in un team di ricerca ad Harvard ancor prima di diplomarsi.
Tutto inizia la scorsa estate, quando lo studente, grazie a una borsa di studio della Fondazione Campari e alla sua scuola, frequenta una Summer school della celebre università americana. A notarlo il professor Khaled Abdelazim, docente di chimica dell’ateneo, che al termine del periodo lo invita a proseguire la collaborazione, chiedendogli di tornare, i prossimi luglio e agosto, stavolta con una borsa di studio di Harvard.
«I miei – ricorda lui – mi regalarono “La scienza della pasticceria” di Dario Bressanini insieme a una sorta di “Piccolo chimico” di cucina molecolare con cui mi divertivo a sperimentare le trasformazioni degli alimenti. Sui libri di scuola però la chimica non l’avevo ancora studiata». Ma quando si è concretizzata l’opportunità di passare sette settimane ad Harvard tra le duecento materie ha optato per Antropologia e, appunto, Chimica. «Durante le classi tempestavo di domande il professor Abdelazim, non so se sia stato per sfinimento o ammirazione, mi ha proposto di unirmi al suo team in laboratorio per uno studio sulla cinetica enzimatica. Così ho trascorso i pomeriggi tra microscopi e stampanti in 3D, strumentazioni all’avanguardia e vetrini. Pensavo sarebbe rimasta un’esperienza indimenticabile, quando con mio grande stupore il prof mi ha invitato a tenerci in contatto». E così è stato: tutte le domeniche alla mezzanotte italiana – ad Harvard in Massachusetts le 6 del pomeriggio – Bernardo si collega via Zoom con Abdelazim e gli altri “colleghi” per aggiornamenti. «Ogni giorno dedico alla ricerca almeno un’ora, dovrebbe essere pubblicata entro l’anno e il mio nome dovrebbe comparire». Il resto del lavoro lo farà sul campo quest’estate quando ritroverà pure gli altri amici “americani”. Come Enver, approdato nel campus di Harvard dal Bangladesh per un corso di programmazione senza aver mai posseduto un computer. «Ed è risultato primo della sua classe. È l’altro aspetto dell’esperienza che mi ha colpito, ho incontrato studenti da tutto il mondo con la mia stessa smania di conoscenza. Non mi piace uscire la sera, non amo i videogiochi, preferisco studiare, approfondire, semmai cucinare. Ad Harvard erano tutti più o meno come me. Andavamo in biblioteca tutte le sere e il piacere stava proprio nel farlo senza obblighi. È la curiosità che mi ha condotto fin qua». Ci tiene a far sapere che non è un genio. «Mica ho tutti 10, figuriamoci, in chimica e biologia ho 8 e 9. Ho persino preso dei 4. Non ho l’ansia da prestazione, né mi sento oppresso dalla competizione come alcuni miei coetanei denunciano. Un po’ di stress c’è: se prendo un brutto voto non sono felice, nemmeno depresso però». Giura, che nelle materie umanistichenon è un granché. «Sbaglio approccio. In un tema sul canto XXXIII dell’Inferno dantesco dove i dannati non possono piangere, ho scritto che rappresentava un problema perché il pianto rilascia ossitocina e l’ossitocina aiuta a migliorare l’umore. La prof non ha apprezzato». Da grande vuol fare quello che voleva fare da piccolo. «Mi piacerebbe darvita a una realtà che unisce chimica e cibo. In passato ho fatto una breve esperienza nella cucina di Dalla Gioconda, un ristorante stellato a Gabicce. Una precisione che manco in laboratorio. Comunque dopo la Maturità, mi iscriverò a Chimica industriale. A Bologna c’è un’ottima facoltà, non c’è bisogno di andare lontano».