La Stampa, 30 aprile 2023
«Basta precariato». L’appello di Mattarella
Proprio in cima alla Costituzione sta scritto che l’Italia è una Repubblica «fondata sul lavoro». Così, perlomeno, dovrebbe essere. Ma Sergio Mattarella ha qualche dubbio al riguardo: davvero, si chiede, «abbiamo adempiuto appieno a questo precetto?». Gira la domanda agli imprenditori e alle maestranze di Cavriago, nel Reggiano: «Abbiamo saputo, in questi 75 anni, promuovere le condizioni per rendere effettivo per tutti il diritto al lavoro?». L’interrogativo del presidente rimane in sospeso.
Nei giorni scorsi la premier, Giorgia Meloni, s’era sforzata di convincere la City londinese che lo spread è sotto controllo, che l’economia vola, che nel 2023 cresceremo ben oltre le previsioni. Insomma, tutto procede al meglio. Il capo dello Stato non contraddice questa narrazione ottimistica. È venuto a festeggiare in anticipo il Primo maggio nel Distretto della Meccatronica che è una realtà industriale tra le più innovative in assoluto; ha visitato la Landi Renzo, leader mondiale nella mobilità sostenibile, e subito dopo la Walvoil, tra le prime del pianeta nei prodotti oleodinamici. Si è compiaciuto dell’export che cresce a doppia cifra nonostante la pandemia, a dispetto della crisi energetica, per giunta in tempo di guerra grazie alla forza della nostra industria manifatturiera e della sue aziende più all’avanguardia. Tuttavia Mattarella è garante della Costituzione. Ha il compito di misurare la distanza tra i principi scolpiti nella Carta e la realtà che tutti conosciamo. Qui il discorso del presidente si fa più problematico. Cita gli articoli 4, 36 e 37 sul diritto al lavoro, sulla giusta paga, sulla parità retributiva tra donne e uomini, sullo sfruttamento minorile e di nuovo insiste nella domanda se il nostro Paese ha fatto finora tutto il necessario o siamo ancora indietro rispetto ai bisogni.
Parlare di lavoro in fabbrica significa mettere il dito sulla piaga degli infortuni, delle «morti bianche»; vuol dire denunciare le diseguaglianze territoriali nel nome dell’unità nazionale; richiede attenzione per i nuovi diritti come quello alla formazione del «capitale umano» davanti alle sfide dell’evoluzione tecnologica e dell’intelligenza artificiale. Mattarella rifiuta di «arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre un’esistenza decente». Registra la «stagnazione salariale» in atto a fronte di un costo della vita che invece è in aumento per colpa delle tensioni inflattive. Contesta la precarietà elevata a sistema che «stride» in un mondo dove le imprese sono semmai alla ricerca di personale qualificato e già preparato. Prende atto con «amarezza» come la piena occupazione, in particolare per i giovani e le donne, sia ancora «di là da venire», per non parlare del Mezzogiorno. Constata che in Italia purtroppo ancora si registra un «alto tasso di inattività rispetto ai parametri europei».
Grandi questioni sociali di cui non accusa nessuno, il presidente della Repubblica, tantomeno questo governo rappresentato a Cavriago dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone. Mattarella invita tutti quanti a dare di più per superare i problemi, con un’attenzione speciale al cantiere del Pnrr. Addita come buon esempio da seguire ovunque il Patto del lavoro sottoscritto in Emilia Romagna fra Regione, forze sociali, istituzioni locali e università. Conclude augurando «una giornata serena e festosa ai giovani del Concerto di Piazza San Giovanni» nella Capitale. Sulla via del ritorno corona la lunga giornata presenziando a L’Aquila alla cerimonia di giuramento di 1175 nuovi marescialli della Guardia di Finanza. —