Corriere della Sera, 1 maggio 2023
Intervistaa Filippo Ganna
C’era una volta un formidabile pistard, capace di evolversi a una velocità che nemmeno Charles Darwin aveva previsto. È con la voglia di mettersi alla prova nel terzo Giro d’Italia della sua carriera (quarta grande corsa a tappe in totale, con il Tour dell’anno scorso nel tascapane) che Filippo Ganna da Vignone, alture del Verbano, 26 anni, oro olimpico e mondiale nell’inseguimento a squadre e re dell’Ora con una prestazione monstre (56,792 km), partirà sabato in maglia Ineos sulla ciclovia dei trabocchi, costa adriatica abruzzese tra Fossacesia Marina e Ortona. Obiettivo dichiarato: prendersi la prima maglia rosa del Giro 2023 nei 19 km della crono individuale, come a Palermo nel 2020 e a Torino nel 2021. Da indossare, magari, fino al Gran Sasso, la prima vera montagna lungo i 3.489,2 chilometri della corsa.
Ganna, che sfida rappresenta il Giro, a questo punto del suo percorso?
«Ci arrivo con la maturazione della persona, che c’è stata, e con la consapevolezza di aver fatto tutto al meglio delle mie possibilità. I prossimi tre giorni di ritiro con la squadra saranno decisivi per decidere la strategia di gara. Io, per come sono fatto, vorrei piede libero: prendermi qualche soddisfazione di tappa, cioè, e all’occorrenza lavorare per il mio capitano, il grande Geraint Thomas».
La rosa subito è un passaggio obbligato.
«L’idea c’è. L’ideale sarebbe tenerla, senza spendere troppo, finché si può. Ma il giorno in cui si fa dura si può anche correre in modo conservativo e poi puntare sulle tappe singole, come a Camigliatello Silano tre anni fa».
Dalla pista alla strada che viaggio è stato, Filippo?
«Ah, allora non sono più solo un pistard? Mi fa piacere! Fino all’altro giorno sembrava che io fossi bravo solo al chiuso, che non dovessi partire per le classiche perché ero una chiavica. La verità è che è tutto un evolversi. Cambiano i percorsi, le biciclette, gli avversari. Non mi evolvo solo io: si evolve tutto il gruppo. Ogni anno si va più veloce, si fanno watt più alti e numeri più grandi».
Si sente abbastanza arrivato come corridore?
«Al contrario: credo di essere soltanto all’inizio».
Sembra sempre insoddisfatto. È carattere?
«Credo abbia ragione Alex Zanardi quando dice che nel momento in cui centri l’obiettivo ti senti incompleto. Ti chiedi: e adesso cosa faccio? Per rimettersi a soffrire sulla bici servono nuove motivazioni. Ma credo faccia parte di ogni mestiere...».
Solo Ganna, però, arriva secondo alla Sanremo dietro a Van der Poel e davanti a Van Aert e Pogacar e dice: sono deluso.
«Secondo alla Sanremo vuol dire primo degli sconfitti. Vedo più spesso il bicchiere mezzo vuoto: sono fatto così».
Parliamo dei momenti di felicità, allora.
«La felicità dura quindici minuti al massimo. Al minuto 16 sono già pronto a rimettermi in gioco. È la mentalità di chi vuole ottenere qualcosa, deve esserlo: se al primo successo ti siedi, è finita».
Però le critiche pungolano.
Carattere da leader
Secondo alla Sanremo significa primo degli sconfitti: sempre insoddisfatto, sono così
Ha ragione Zanardi: se centri l’obiettivo, ti senti vuoto. La felicità dura 15 minuti al massimo.
Arrivo a Roma e parto per il mare: meta top secret, telefono spento
«Se sono costruttive, quelle le accetto, non se sono mazzate gratuite. Io non ho nulla da nascondere: mi preparo per me stesso, la bandiera, l’orgoglio, il godimento del tifoso. Non scatto sul Poggio per andare dietro a Van der Poel e mi criticano? Okay, va bene: sono tutti direttori sportivi dal divano di casa. Una volta me la prendevo, oggi me ne frego. Il sangue amaro ho smesso di farmelo. Se qualcuno vuole criticare, lo faccia. Sprecherà parole al vento».
Alice è di Omegna e studia scienze motorie alla Cattolica di Milano. Fa parte di una nuova serenità?
«Tutto contribuisce, anche la relazione sentimentale. Con Alice è una storia nata da poco, ci teniamo l’uno all’altra, c’è interesse reciproco: vogliamo crescere insieme come persone, poi vedremo come va a finire».
Nel dolore del ciclismo l’amore è un balsamo.
«Precisiamo: non sono masochista, sennò avrei fatto il picchiasassi. È peggio lavorare in miniera: il ciclismo mi restituisce molto di ciò che gli do. Tra le varie forme di ciclismo che pratico, dalla pista alla strada, per me è molto più pericoloso e stressante un arrivo in volata dove rischio di cadere che una salita massacrante fatta a ritmo forte. Il dolore più insopportabile è quello negli ultimi 15’ del record dell’Ora, quando mi sono spinto oltre il limite. Non mi ero mai visto scendere dalla bici con le rughe in faccia! Alla Roubaix, sui sassi del Carrefour de l’Arbre, io spingevo ma i mostri andavano via... Sono sforzi diversi. Sul pavé ho contro il fatto di non venire dal ciclocross, quindi sullo sconnesso faccio più fatica di Van der Poel e Van Aert a fidarmi del mezzo».
Com’è questo ciclismo di fenomeni visto dalla pancia del gruppo?
«Io sono più impressionato da Geraint Thomas, il signor G, mio capitano Ineos al Giro, uno sempre pronto a lottare, anche contro i più giovani. Un conto è fare fatica a 25 anni, un altro sacrificarsi a quasi 37, come lui che lo scorso anno al Tour ha combattuto contro una Jumbo fortissima. Oddio, se mi sente sottolineare la sua età mi manda a quel paese...».
Il ruolo dei tecnici che le stanno più vicini: Dario Cioni in Ineos e Marco Villa in Nazionale sulla pista.
«Marco fa parte della mia storia: è lui che mi ha portato in pista. Dario, che è stato il primo a segnalarmi alla Ineos, lo sento tutti i giorni. Sono persone di cui mi fido ciecamente: è fondamentale che tra loro la comunicazione sia buona per potersi preparare bene nella multidisciplinarità. Non è facile centrare obiettivi quando ne hai tanti, bisogna sapersi programmare».
Meno cinque al Giro, Filippo. Cosa infilerà in valigia?
«Vestiti e caramelle».
Menta o gommose?
«È un segreto».
E poi?
«Poi basta. Sul bus della squadra ci sarà pronta una seconda valigia con costume e infradito. Come finisce il Giro a Roma, salgo su un aereo e vado al mare. Destinazione top secret, telefono spento».
E un rasoio per la barba?
«Non taglio barba e capelli da mesi. Sembro l’orso Yoghi».