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 2023  gennaio 03 Martedì calendario

Biografia di Benedetto XVI

Inserzione Il 7 marzo 1920 apparve, sul “Liebenfrauenbote”, giornale cattolico di Altötting, in Baviera, la seguente inserzione: «Dipendente pubblico di basso rango, celibe, cattolico, 43 anni, cerca scopo matrimonio brava ragazza cattolica, che sappia cucinare, cucire, gestire famiglia. Auspicabile buona situazione patrimoniale». Non arrivarono risposte. Quattro mesi dopo, l’11 luglio, l’inserzione apparve di nuovo. Il tizio stavolta si definiva “dipendente pubblico di medio rango” e vantava un “passato senza macchie”. Rispose una Maria Peintner, di anni 36, cuoca. I due si incontrarono, non si dispiacquero, andarono infine a sposarsi a Pleiskirchen, sempre dalle parti di Altötting. Lui si chiamava Joseph Ratzinger, di anni 43, gendarme. Nacque prima una bambina, cui fu posto il nome di Maria (1921). Quindi venne al mondo un Georg (1924). Infine, nel 1927, l’ultimogenito, cui diedero lo stesso nome del padre, Joseph.  
Bavaresi Famiglia cattolicissima, come sanno esser cattolici i bavaresi. Georg si fece prete, Joseph il terzogenito pure, e diventò poi papa. Maria non si sposò, e fu sempre accanto a Joseph. Nel settembre del 1991 Joseph, non ancora papa, ma già importante cardinale, ebbe un ictus da cui uscì senza danno. Due mesi dopo ebbe un ictus anche la sorella, stavolta devastante. Colpita al mattino, mentre stava pregando sulla tomba dei genitori, la sera se ne andò all’altro mondo. Fu poi chiesto a Joseph: sua sorella ha per caso pregato per esser presa dal Signore al posto suo? Joseph rispose: penso di sì.
 
Joseph Joseph, intelligentissimo, devotissimo, negato per il disegno e la ginnastica, assai incline alla musica e alla filosofia, passione per gli orsacchiotti, specie per il peluche che stava esposto in una vetrina di Marktl, e che poi gli fu regalato a Natale. Marktl – Marktl am Inn – era la cittadina della Bassa Baviera dove era nato e dove viveva, all’11 di Schulstrasse. Agli adulti che, come in ogni epoca, gli chiedevano: «Che vuoi fare da grande?», rispondeva: «L’imbianchino».
 
Giovinezza In seminario a dodici anni, a quindici in guerra. Non spara, lo mettono al centralino telefonico di una batteria contraerea. Dopo, studia filosofia e teologia a Monaco e a Frisinga, e nel ’51 è ordinato sacerdote (tutta una mistica intorno al fatto che, nel momento in cui il cardinale Faulhaber gli impose le mani, s’alzò in volo un’allodola cantando). Primo incarico: viceparroco nella stessa Monaco. Si trova male, non è troppo adatto al contatto col prossimo, il cosiddetto “curatore d’anime”. È più a suo agio in biblioteca, o in cattedra, o a discutere di fede e razionalismo con quelli come lui, o a scrivere articoli e saggi (per scrivere, è un gran scrittore, come si vedrà poi). Un intellettuale (torre d’avorio?, del resto papa Wojtyla voleva fare l’eremita), non un assistente sociale. Lascia perdere infatti la parrocchia e si mette nella carriera accademica, i padri della Chiesa, Sant’Agostino, Sant’Ireneo. Libero docente di teologia a Frisinga, poi a Bonn, a Münster, a Tubinga, a Ratisbona. Ha di poco passato i trent’anni. Nel 1961, quando ne ha 34, quelli dell’Accademia Thomas More di Bernsberg (siamo in Renania) lo invitano a parlare del Concilio appena convocato da Giovanni XXIII e che si sarebbe aperto l’anno dopo. Il giovane teologo spiega che la Chiesa s’è data un’organizzazione copiata dal mondo secolare, e questo ha fatto perdere di vista la sua origine divina. «Il Concilio non è un parlamento e i vescovi non sono deputati che traggono la loro autorità e il loro mandato esclusivamente dal popolo che li ha eletti. Non rappresentano il popolo, ma Cristo, da cui ricevono la loro missione e consacrazione». Uh!, pensa il cardinale Frings, arcivescono di Colonia, uno di quelli che deve appunto andare a Roma a discutere della nuova Chiesa e che lo sta ascoltando: «questo qui lo porto in Italia con me».
 
Concilio Stiamo parlando del Concilio Vaticano II, inaugurato da Giovanni XXIII nell’ottobre del 1962 e chiuso poi da Paolo VI l’8 dicembre 1965. Semplificando in modo brutale: la Chiesa, rispetto a quanto accadeva nel mondo, campava ancora sul Sillabo del 1864, dove Pio IX aveva elencato gli ottanta errori della modernità (socialismo, liberalismo ecc.) e dove, al numero 80, si qualificava come “errore” il fatto che «il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà». Si sosteneva, cioè, che il fondamento della Chiesa si basava su valori non negoziabili e non modificabili a seconda delle epoche, qualcosa di non troppo dissimile dall’attuale sharìa islamica. Il Concilio Vaticano II, nella mente di papa Giovanni, aveva il compito di superare questa posizione e conciliarla con i tempi nuovi.
 
Riforme Ratzinger a Roma si mostra favorevole al cambiamento, «la gerarchia si muove con redini tirate e troppe leggi». Questo lo colloca accanto ai Montini, ai Lercaro, agli altri vescovi tedeschi, francesi, belgi, olandesi. E contro la Curia. Ma l’apertura al mondo favorita dal Concilio si sviluppa poi anche in una direzione inattesa. Intanto il marxismo vissuto come una forma di nuovo messianesimo, e poi il Sessantotto contestatore, dove i cattolici di sinistra accusano la Chiesa d’esser complice di capitalisti e sfruttatori, e si ritiene possibile – nella perdita d’interesse per ogni ritualità – di celebrar messa anche in camera da letto, partecipando magari con in mano un bicchiere di vino. Ratzinger, che passa la vita col mal di testa per conciliare fede e ragione (la fede come cura del razionalismo, la ragione come antidoto dell’integralismo), non ci sta: che cosa sono i volantini dove si maledice Gesù Cristo? che cos’è questa nuova messa dove i fedeli, credendo di essere in assemblea, si guardano tra di loro invece di contemplare l’altare, dove sta Cristo, il sole che sorge? Posizioni che lo qualificano come conservatore, e forse addirittura reazionario, ma appassionato difensore della fede.
 
Carriera Paolo VI lo fa vescovo di Monaco, e poi cardinale (1977). Wojtyla lo chiama al vertice della Congregazione per la dottrina della fede. Da quella posizione, Ratzinger sgombra il terreno da tutte le derive più radicali, la teologia della liberazione, il sacerdozio femminile, le coppie omosessuali, i movimenti cristiani rivoluzionari. Per evitare iniziative dottrinali locali e impedire che la Chiesa si trasformi in una federazione di chiese, scrive un Catechismo universale, al quale dovrà adeguarsi qualunque catechismo nazionale. Dice, come se fosse già papa (e Wojtyla lo lascia parlare), che i regimi dell’est sono un orrore, che il comunismo è un orrore, che la fede in Cristo è l’unica, insostituibile salvezza per ciascun uomo (Dominus Iesus del 6 agosto 2000). In accordo con quasi tutte le previsioni, quando Wojtyla muore lo fanno papa. È il 2005. Assume per sé il nome di Benedetto XVI.
 
Gay Si tratta in realtà di un uomo mite, sorridente, gli occhi azzurri, il ciuffo biondo, le movenze delicate, quasi femminili. Suona Mozart, scrive poesie, ha in casa almeno tre gatti, o forse addirittura cinque, a cui si rivolge di preferenza – per esser certo d’esser capito – in dialetto bavarese. Si rivolge in dialetto bavarese anche ai gatti romani di strada, quelli lo capiscono benissimo. Ha ficcato nel suo stemma l’orso della fanciullezza, si tiene accanto come segretario – ma già da prima – un monsignore di rara avvenenza, tutto l’insieme dà origine a una ridda di chiacchiere. Sgarbi: «Sarebbe ardito pensare che Ratzinger fosse gay. Però era abbastanza chiaro il rapporto con Padre Georg. E per cercare di mettere nell’angolo il pontefice hanno inseguito in tutti i modi Georg, per capire se avesse avuto trascorsi sessuali compromettenti. Quando erano insieme non c’era nessuna complicità sessuale riconosciuta, era però evidente l’intesa tra le due “persone”. La componente platonica, che ho sempre guardato con irritazione, è una liberazione dagli schemi obbligatori».
 
Guardiano Si tratta in realtà di un inflessibile guardiano della fede, dalla pronuncia sonoramente scandita (il “Manifesto”: «Pastore tedesco»), nemico prima di tutto del cosiddetto “relativismo”, quel modo di pensare che ammette qualunque idea, in nome non tanto della tolleranza (che Benedetto XVI ha dichiarato più volte di apprezzare) quanto della mancanza di princìpi forti o di valori certi capaci di orientare sulla strada giusta la vita degli uomini. Il papa pensa che la verità esiste, pensa che vi siano ancora “valori non negoziabili”: esistono solo i maschi e le femmine, e non si dà un terzo o un quarto sesso; no all’omosessualità, no alla comunione ai divorziati, no ai laici in capo alle comunità di fedeli, no ai protestanti, no alle donne-prete, no ai preti sposati, no al rock, no all’aborto e al preservativo, no alla massoneria, no al comunismo, no al capitalismo selvaggio; solo nella Chiesa cattolica c’è la salvezza eterna. Un nuovo Sillabo? Eppure, ribadisce Ratzinger, fede e ragione devono dialogare. Nel suo primo discorso da papa (24 aprile 2005), dice che la Chiesa è oggi il pastore che va in cerca dell’umanità smarrita in un deserto fatto di «povertà, fame, sete, abbandono, solitudine, amore distrutto».
 
Bontà «La bontà implica anche la capacità di dire no».
 
Terremoti Pontificato di terremoti continui. A partire da subito si fa carico – negli Stati Uniti, in Irlanda, a Sidney e ovunque – della vergogna dei preti pedofili, affermando – ed è la prima volta nella storia – che costoro vanno denunciati all’autorità civile e processati per i loro crimini dai tribunali degli Stati (una disposizione interna del 1962 raccomandava invece di smussare i casi, tenerli nascosti, limitarsi a trasferire i colpevoli, depistare le famiglie delle vittime). Nel 2008 i professori della Sapienza, guidati da Marcello Cini e Alberto Asor Rosa, gli vietano l’ingresso all’università per inaugurare l’anno accademico («è un nemico della scienza»). Nel 2009 le prime manifestazioni di scandalo per i vizi della Curia: «nella Chiesa ci si morde e ci si divora a vicenda, come espressione di una libertà male intesa» (lettera ai vescovi di tutto il mondo). Nel 2010 esorta al dialogo con i musulmani (visita a Cipro), che però poi lo attaccano per un passaggio di un suo discorso a Ratisbona, dove sembra criticare Maometto. Tormentatissimo anche il rapporto con gli ebrei, dopo la decisione di ridar vita alla messa latina in cui ci si augura che il popolo deicida si converta e venga salvato dall’inferno. Sempre nel 2010, a fronte delle mene affaristiche del cardinale napoletano Crescenzio Sepe, tuona: «Il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero». Gli scandali che hanno al centro la Curia in realtà si moltiplicano, fino al caso di Ettore Gotti Tedeschi, che il segretario di Stato Bertone, in odio a Ratzinger, caccia su due piedi dalla presidenza dello Ior (la banca vaticana), e dell’aiutante di camera Paolino Gabriele, un altro apparente angelo del Paradiso, che rubava i documenti dalle stanze di Benedetto e li passava agli autori di libri scandalistici. Sono i fatti che precedono e provocano la grande decisione del febbraio 2013: le dimissioni.
 
Dimissioni «Non ho più le forze, perdonatemi» titolò il Corriere della sera il 12 febbraio 2013, dando la notizia delle dimissioni. Benedetto le aveva comunicate il giorno prima al Concistoro, parlando in latino «con voce drammaticamente biascicata». Un atto davvero rivoluzionario del pontefice apparentemente più conservatore dai tempi di Pio XII. «Nel mondo di oggi (…) per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo». In quel momento Ratzinger aveva 86 anni. Nei duemila anni di storia della Chiesa era capitato solo altre sei volte: Clemente I, papa Ponziano, papa Silverio, Benedetto IX, Celestino V, Gregorio XII. La sera del 28 febbraio un elicottero lo portò a Castelgandolfo. Non partecipò al conclave in cui fu eletto Francesco. La foto dei due papi vestiti di bianco, inginocchiati uno accanto all’altro nella cappella di Castel Gandolfo, fece il giro del mondo.
 
 
 
 
 
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