il Giornale, 1 maggio 2023
Intervista a Elisabetta Dami, la “mamma” di Geronimo Stilton
«Geronimo», gridano i paracadutisti all’atto di lanciarsi. Stilton è il formaggio che sta all’Inghilterra come il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano all’Italia. Dalla combinazione di entrambi i termini scaturisce il nome del topo giornalista, Geronimo Stilton, che anima la serie di libri per bimbi e ragazzi usciti dalla penna di Elisabetta Dami. Con garbo e risolutezza ambrosiani - è nata a Milano nel 1958 da papà toscano -, passo dopo passo Dami ha raggiunto la vetta degli scrittori tricolore più letti al mondo. Dal 2000 ad oggi ha venduto 182 milioni di copie, tradotte in 52 lingue: un caso editoriale. Non solo. In febbraio la casa cinematografica di Los Angeles, Radar Pictures, ha acquisito i diritti per realizzare un film d’animazione ispirato alle avventure di Geronimo Stilton, lo firma il regista David Soren (lo stesso di Turbo e Capitan Mutanda). E sempre più, in tema di letteratura per bimbi e ragazzi, il topo italiano dà del filo da torcere al maghetto Harry Potter.
Sono leggendari i rifiuti editoriali di Harry Potter. A lei come andò?
«All’inizio è stata dura. Nessuno voleva pubblicarmi, questo genere di libri era bollato come buonista, e ’ciò che è buono va bene per l’oratorio’ era il sottinteso».
Ma lei non mollava.
«Ho avuto successo perché non ho mai desistito rimanendo sempre me stessa».
Poi nel 2000 Piemme raccolse la sfida
«Ed è tuttora la mia casa editrice alla quale si è aggiunta la Fabbri per le storie di Billo e Billa».
Infine Rizzoli che ha dato alle stampe ’Così parlò Lupo Blu’, candidato allo Strega: finalmente
«Non ho l’ambizione di vincere, già mi onora essere candidata. Lo dico sinceramente».
Dal primo Geronimo Stilton, quindi da più vent’anni lei vive all’ombra del topolino. Perché è così nascosta?
«I bimbi credono che Geronimo esista sul serio, un po’ come accade con Babbo Natale, ho quindi scelto di presentarmi come la sua mamma. E in ogni caso sono convinta che il messaggio sia più importante di chi lo trasmette, conta che i bimbi si appassionino a questa figura e apprendano i valori che porta con sé. Tempo fa in una libreria c’era un uomo vestito da Geronimo che firmava copie, rivedo ancora la scena di due bimbi che si dicono: Visto che è proprio un topo vero? Te l’avevo detto. Situazioni come questa confermano la filosofia di partenza».
Cos’ha di speciale Lupo Blu?
«Anima una di quelle storie senza tempo dove ricorre l’eterno tema della ricerca del senso della vita».
Stile Il gabbiano Jonathan Livingston?
«Un po’ così. Si parla al cuore dei piccoli e dei grandi, con una semplicità disarmante ma che tocca il cuore. Esiliato poiché incompreso, il lupo viaggia nelle quattro direzioni del mondo, diventa saggio acquisendo le virtù che più contano: coraggio, gentilezza, compassione, generosità, rispetto e perdono. La sua famiglia è stata uccisa da un puma, per questo vuole vendicare l’omicidio, ma subito comprende l’importanza del perdono. Quando torna nella sua terra d’origine, inizia a raccontare storie, diventa un modello ispiratore al punto che gli viene chiesto di assumere il ruolo di capobranco».
Messaggio finale?
«I lupi capiscono l’errore di partenza: l’avevano cacciato poiché ritenuto debole, in realtà quella debolezza era sensibilità».
Cos’è il perdono?
«È ciò che libera il cuore dall’odio aprendo la porta alla felicità. Chi sa perdonare libera il proprio cuore. Perdonare fa bene anzitutto a se stessi».
Come ha fatto a entrare nella testa di un lupo?
«Mi sono documentata molto, come sempre del resto quando scrivo un nuovo titolo. Poi sono andata in Abruzzo dove ho potuto avvicinare i lupi. Agli animali bisogna avvicinarsi con rispetto e senza paura, perché se percepiscono che li temi, ti attaccano».
Tra i valori incarnati da Geronimo Stilton quale le sta più a cuore?
«La gentilezza anche perché è contagiosa: ogni atto gentile migliora la propria vita».
Almeno due generazioni di bimbi sono cresciuti con Geronimo Stilton. Spesso Le chiedono interventi nelle scuole. Ci racconti queste esperienze.
«Stamani, in un liceo di Biella, ho parlato dell’importanza del rispetto, anzitutto per se stessi. Se ti rispetti, allora né ti droghi né ti ubriachi. Bimbi e ragazzi sono estremamente concreti, con loro funzionano spiegazioni utilitaristiche. Se dici ti conviene fare così perchè ti ascoltano, le imposizioni sortiscono solo effetti contrari. Ho scritto anche un libro sulla Costituzione, tra l’altro con la prefazione del presidente Sergio Mattarella, in questo caso ricordo ai ragazzi che rispettare le regole permette una convivenza armoniosa».
Dal suo osservatorio speciale come vede i giovani di questo millennio? Anime di cristallo, si dice.
«Sono troppi a non avere sogni, privi della bussola che orienta un percorso di vita. Quando li incontro mi piace insistere su questo, dovete coltivare un sogno, dico, non conta in che settore si realizzerà, può essere nella musica, sport, giornalismo, cucina: basta individuare ciò che dà gioia».
L’errore più comune dei genitori?
«Comunicare ai figli l’idea che possono fare qualsiasi cosa, dovrebbero invece aiutarli a trovare ciò che è vicino alla propria natura».
Allarghiamo il cerchio alla scuola. Che opinione s’è fatta degli insegnanti?
«Premesso che quella dell’insegnante è una missione prima ancora che una professione, nutro un grande rispetto per i docenti, fanno un lavoro importantissimo e molto difficile, formano le generazioni del futuro. Però avverto che spesso si sentono soli».
Nota dolente: in cosa sbagliano?
«Formare giovani è un’operazione durissima. Non posso che esprimere la mia solidarietà».
È notoriamente doverista, lo è per nascita o formazione?
«Devo questo aspetto a mo padre, severissimo. A lui devo il senso dell’autodisciplina che non faceva parte della mia natura ma che ho poi interiorizzato. Gliene sarò sempre grata anche se c’è voluto del tempo prima che capissi il valore della sua intransigenza».
Papà (ndr fondatore della casa editrice Pietro Dami) iniziò a farle correggere bozze poco più che bimba. Lei sì che ha fatto sul serio l’alternanza scuola-lavoro.
«Bozze e poi controlli nelle tipografie fuori Milano dove i vari addetti mi mettevano regolarmente alla prova, partivo da una posizione di svantaggio: donna, giovanissima, figlia dell’editore. Ne ero consapevole quindi non mi lasciavo sfuggire il minimo refuso. Sono stati anni preziosi, ho appreso i segreti della stampa».
Il successo è arrivato dopo i quarant’anni. Prima?
«Le bocciature degli editori che non mi credevano, e tanti sacrifici. Per fortuna non ho mai avuto paura di soffrire, di sacrificarmi per quello in cui credevo e credo tutt’ora. Lo dico anche ai ragazzi: se credi in qualche cosa, sforzati per ottenerlo, non conta quante volte cadi, conta rialzarsi».
È una maratoneta in senso figurato ma anche stretto, ha corso tre maratone di New York e i 100 chilometri del Sahara. Quanto è competitiva?
«Con me stessa molto, mi piace darmi obiettivi ambiziosi e faccio di tutto per raggiungerli, per il resto amo fare squadra, condividere. All’ultima maratona di NY ho raggiunto un risultato più che ragguardevole ma lo devo anche ai due maratoneti che mi sono stati al fianco. Assieme è tutto più semplice, è il mio motto».
Salutista?
«Mi sforzo di fare una vita sana. Faccio dieci minuti di ginnastica al mattino e altrettanti a fine giornata, e cerco di raggiungere i 10mila passi consigliati dall’Oms, che poi spesso basta sostituire l’auto con qualche camminata. Quando posso vado a nuotare».
Riesce a far tutto?
«Un po’ di organizzazione e metodicità aiuta. L’anagrafe mi ricorda che devo volermi bene, non ricorro alla chirurgia estetica, mi tengo tutte le mie rughe, però avere un occhio di riguardo per sé aiuta a sentirsi donna».
Quanto è perfezionista?
«Fare le cose bene mi procura grande soddisfazione, l’approssimazione non fa per me».
È una viaggiatrice instancabile. Ha esplorato il mondo ma sempre con l’Italia nel cuore
«Sono orgogliosa del mio Paese, gli ho dedicato un libro intitolandolo Mille meraviglie. Ho visitato tanti Paesi e non ne ho trovato uno che non valesse la pena di essere visto. Detto questo, sono profondamente innamorata dell’Italia, intrigante dalla Sicilia al Piemonte, dal Friuli alla Valle d’Aosta».
Sguardo al passato: il suo docente del cuore?
«Paola, la maestra delle elementari. A lei devo tutto. Severa e ferma quanto basta, e capace di trascinare gli alunni. Insegnandomi la grammatica mi diceva: Non basta avere belle idee, bisogna conoscere le regole per esprimerle al meglio. Fin da piccola scrivevo temi bellissimi, e lei li leggeva in classe e così mi motivava ancora di più».
E al liceo come andò?
«Sono nata a cresciuta a Milano, tra l’altro nello stesso quartiere dove vivo tutt’ora. Però gli anni del liceo li trascorremmo a Sanremo, ho un buon ricordo. La scuola non è perfetta, così come la perfezione non è di questo mondo, offre opportunità che sarebbe un peccato non cogliere, spesso agli studenti mostro le immagini dei bimbi africani che visito tramite la mia Fondazione, sono fanciulli che fanno chilometri e chilometri a piedi per andare a scuola, in tanti non hanno neppure quaderni e biro per cui devono memorizzare tutto, non c’è altra possibilità».
Il libro che accese in lei una scintilla?
«Piccole donne. Mi colpì il personaggio di Jo March, in particolare la sua aspirazione a diventare una scrittrice. Avevo 15 anni quando lo lessi per la prima volta, adoravo quel libro: letto e riletto. Sono sempre stata attratta dalla mitologia, lì c’è tutto, i grandi drammi, passioni, la psicanalisi moderna. Poi i grandi classici, dall’Isola del tesoro al Richiamo della foresta. I classici non smettono mai di dire quello che hanno da dire».
Quanto e come si documenta quando lavora a un nuovo titolo?
«Per esempio, per i numeri dedicati all’antico Egitto, nella serie Viaggio nel tempo, ho letto decine di libri, incrociato le informazioni, poi una volta pronte le bozze le abbiamo mandate al Museo Egizio di Torino chiedendo di segnalare eventuali errori. Si sono complimentati per il livello di approfondimento e per la cura dei dettagli».
Perché scrivere per bimbi è impegnativo.
«Ai piccoli lettori cerco di dare il meglio, bisogna instillare l’aspirazione alla bellezza e alla verità. Scrivere libri per bimbi non è né più facile né più difficile dello scrivere per adulti, è semplicemente diverso».
Attenersi alla verità storica, come ci insegna Manzoni, costa fatica.
«Una fatica inevitabile ma necessaria. Nel momento in cui scrivo storie ambientate nel Medioevo devo sapere che il ferro era costoso ragion per cui ne circolava poco oppure quando scrivo dell’Antico Egitto non posso ignorare il fatto che a costruire le piramidi non erano schiavi, come spesso si legge, ma uomini comuni che attribuivano un valore sacro a questo lavoro perché sapevano di dare un contributo a un luogo di culto».
Ha scritto centinaia di titoli nel nome di Geronimo Stilton, non teme che la vena si possa esaurire?
«I miei collaboratori sì, io no perché l’idea nuova affiora sempre, e quando meno me l’aspetto. Un giorno ero a Zanzibar in vacanza, lì d fronte al mare spuntò l’idea di Stilton e i pirati. Tornai in camera e presi subito a scrivere. E comunque i ragazzi riescono sempre a stimolarmi. Faccio questo lavoro con grande passione, lo vivo come una missione. Sono grata alla provvidenza e alla vita che continua a riservarmi sorprese, e mi ha dato tanto. Per questo sento il dovere di restituire».