il Giornale, 1 maggio 2023
Ritratto al veleno di Alessandro Gassman
In fondo la serie tv di cui è protagonista – Un professore, su RaiUno, il canone nazionale della pedagogia retorica e dei buoni sentimenti – è esattamente la sua vita. Ma al contrario. Un professore di Filosofia in un liceo pubblico romano, pacato, donnaiolo, anticonformista, colto e che conosce così bene Michel Foucault (l’omosessualità, la repressione!) e Guy Debord (lo spettacolo, i video di revenge porn!) da usarli per aiutare i suoi studenti ad affrontare i problemi della vita. Fluidità di genere, benevolenza ingiustificata, rapporti padre-figlio e Nietzsche in salsa kebab. Nella realtà, che è sempre il contrario della fiction, Alessandro Gassmann – enfant terrible che faceva impazzire tate, baby sitter e insegnanti di ripetizioni – quando era liceale ha cambiato dieci scuole private («Ma valle a cerca’ dove stanno dieci scuole private a Roma...»), sessualmente esuberante e scolasticamente passivo, pluribocciato che si fece persino cacciare dalla St. George’s, sulla Cassia, Roma Nord inoltrata, il paradiso dei ricchi, dove vanno i figli e le figlie di chi può pagare to buy e la Buy e la filosofia non l’ha mai studiata. Più che le giornate sul nooúmenon poterono le serate al Piper. Ma oggi Alessandro Gassmann è il Professore, docente dell’istituto Superiore di Moralità Pubblica, il Santone dei buonisti da prime time, il Torquemada laico del politicamente iper-corretto, Ethikà e ápeiron, il Gassmann moralista, da Mattatore a Moralizzatore, il motore immobile – ho o kinoúmenon kineî, «quello che si muove senza essere mosso» della centrale del Bene Assoluto, un campo larghissimo e virtuoso che va dalle frociate dell’orgoglio Lgbtq ai seghini su Twitter di Luca Bizzarri (o Luca Bottura, è uguale), dalle prediche di padre Spadaro ai santini di Peppa Pig, da chi ritrae Salvini a testa in giù fino alle ricette immigrazioniste neanche di Gino Strada, no: della figlia di Gino Strada... Un universo distopico neoperbenismo degli asterischi e dello schwa, multiculturalismo Woke, livore e superiorità morale dove non si viene criticati per quello che si dice, ma per ciò che si è. E loro dicono sempre le cose giuste, tu sei sempre quello sbagliato. La sinistra pugno duro e erre moscia – «Volemose bene» sì, ma solo fra di noi – quella che non resiste ad aprire la bocca e a chiudersi nelle zone pedonali. Gauche a 30 all’ora, armocromia e «Ora e sempre Resistenza». Regola: «L’unico attore che vale, è l’attore impegnato». Le belle e buone cause per cui si batte l’acteur engagé Alessandro Gassmann, tappeto rosso e bandiera arcobaleno, tanto aperto al dialogo che blocca tutti senza motivo su Twitter e tanto inclusivo che se Dino Giarrusso entra nel Pd, «Io non lo voto più». Nell’ordine. La crociata ultrachiusurista – con spiata sulle feste dei vicini di casa – affrontata con un forte rispetto dei principi di libertà: «Chi non vuole farsi il vaccino non entra in ristoranti, bar, cinema, stadio, negozi, autobus, taxi, treni e tiene sempre la mascherina... poi vedi che lo fanno». La battaglia per l’ambiente, Green heroes e lotta dura ai cambiamenti climatici. Difesa strenua della comandante della Sea-Watch, Carola Rackete: «Speroniamoli tutti!». Impegno infaticabile in favore dei rifugiati, tout court, che lo pone al secondo posto nella Top Ten immigrazionista nazionale, subito dopo Nicola Fratoianni, subito prima di Luca Casarini, ma a pari merito con Aboubakar Soumahoro. Ovviamente volontario sul fronte anti-Putin per l’emancipazione dal gas russo: il termostato di casa a 18 gradi come quinta colonna occidentale zelenskiana. E, ça va sans dire, di corsa a difendere l’orsa del Trentino, il peluche dei Vip, da Ornella Muti a Licia Colò. Ma soprattutto, naturalmente, agit-prop antimeloniano: «Con questo governo oggi in Italia la democrazia è in sofferenza». Padri costituenti della nuova carta «antifa»: Pierfrancesco Favino, Ambra Angiolini, Jasmine Trinca, le Rohrwacher, le nuove sorelle Bandiera, e Alessandro Gassmann (e anvedi sta burina della Meloni che taglia i fondi dati solo ai film di sinistra...). Comunque, Gassmann è così buono, ma così buono, ma così buonista, che quando gli svaligiarono casa, invece che prendersela con i ladri, postò la foto del padre nel film I soliti ignoti. E poi quella volta che, con squisito paralogismo, twittò: «A chi dice no al DDL Zan ricordo le persecuzioni degli omosessuali durante il Terzo Reich». Aporie alla vaccinara. Domanda: ma cosa se ne fa Gassmann della spunta blu di Twitter dal momento che blocca tutti e nessuno può leggere quello che scrive? Non so, si meriterebbe un neologismo ancora da inventare. Figlio di troppo padre, 58 anni, il vezzo della doppia «n» nel cognome alla ricerca delle origini ebraiche perdute (che però a sentire una sorellastra non esistono), una moglie-ombra alla quale è fedelissimo (l’attrice Sabrina Knaflitz, bellissima e bravissima), un calendario icona gay da un milione di copie quando era la versione maschile di Belén; alle spalle un repertorio come uomo del tonno per Rio Mare e troppi filmetti spazzatura, una bravura di regista teatrale nettamente superiore a quella di attore cinematografico, una casa romana dietro piazza Navona, il centro ma senza caos, via dei Coronari, dove, paladino dell’eco-green, si mise a spazzare la strada a favore di selfie, #RomasonoIo, un buen retiro per l’inverno in Austria e un casale a Magliano in Toscana, Maremma grossetana, entroterra snob della Capalbio vip, dove passò il lockdown, c’è chi può e chi no-vax, Alessandro Gassmann è persona squisita: rispettoso, educato, generoso, anche se diffidente, disponibile ma con un rapporto complicato con la stampa, introverso ma buono. Sempre buono. Troppo buono. Anche nella finzione filmica. L’omosex piacione, il buon padre di famiglia di figlio Down, l’integerrimo chirurgo ebreo che impara a non odiare i neonazisti... E in fondo anche quelli di Pizzofalcone sono bastardi sì, ma dal cuore d’oro. Pur stracorteggiato non fa vita mondana, anzi la soffre, e stravede per il figlio-star, Leo: il talento come eredità di famiglia. Ma è tutto così mainstream, così scontato. Sullo schermo sarebbe una storia noiosissima. Nella realtà, anche. Tanto il padre Vittorio fu genio e sregolatezza, quanto il figlio Alessandro è modestia e prevedibilità. Dentro il sistema, filone allineato dei cinematografari romani, mai un pensiero spettinato, sempre col ditino alzato: metti la mascherina, raccogli le cartacce, abbassa i termosifoni, accogli il migrante, boicotta la Meloni (però i contratti con i teatri gestiti dai meloniani si possono firmare). Invece che l’estetica della drammaturgia, pratica l’etica dell’ideologia. Basta il nome, che «fa cartellone». Ricordiamo un immenso Macbeth di Vittorio Gassman, 1983. La scena in cui s’imbatte nel fantasma di Banquo: «Vattene, sparisci! Scendi sottoterra! Le tue ossa non hanno midollo, il tuo sangue è freddo...». Alessandro, più che da quello del padre, è perseguitato dallo spettro di due fratelli. Il primo è Jacopo, regista teatrale di cui il grande Vittorio diceva «È un genio»; il secondo è Emanuele Salce, figlio del regista Luciano e di Diletta D’Andrea, terza moglie di Gassman. Con entrambi ha un atteggiamento distaccato, e l’ansia che possano emergere eclissandolo. Sbagliando. Ma fai l’attore, già sei fortunato Alessandro...