il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2023
Biografia di Guglielmo Petroni
Trent ’anni fa, il 29 aprile del 1993, moriva a Roma Guglielmo Petroni. Nonostante qualche ristampa dei suoi romanzi e qualche convegno a lui dedicato (come quello del 2006 promosso dalla Fondazione Caetani), lo scrittore e poeta di Lucca, la città in cui era nato nel 1911 e che ha descritto magistralmente, oggi è uno dei tanti dimenticati della nostra letteratura. Eppure proprio ora libri come Il mondo è una prigione (1949) e La morte del fiume (1974) dovrebbero essere letti non soltanto per il valore letterario indubbio, ma perché sono pervasi armonicamente dalla memoria e dal senso della storia. Petroni non era un cantore dei soliti bei tempi antichi, non coltivò banalmente i ricordi. Fu invece assertore di una memoria come strumento di conoscenza e di trasformazione del presente. Memoria e storia, appunto. Nella nota di copertina di La morte del fiume si osserva che, per lui, “la storia personale si iscrive nella storia degli altri e ne viene i l l u m i n at a”. Ha scritto pagine bellissime su Lucca: la città di Ilaria del Carretto ma soprattutto la città del popolo, quella di piazza San Michele e di piazza delle Erbe, della Pelleria, delle Mura. È stato tra i primi a raccontare il disastro ambientale. Nella Mo r t e del fiume, che vinse il Premio Strega, narra del lucchese fiume Serchio inquinato, avvolto dai “miasmi della putredine”. Nello stesso romanzo, in poche scarne ed essenziali pennellate, rammenta che cosa fu la violenza fascista degli anni Venti:” ‘Picchiano, ammazzano; in piazza San Michele hanno bruciato tutti i libri della biblioteca del professor Chelini’. (…) ‘Ma chi s o n o? ’ ‘Fascisti, si chiamano’”. Petroni era un autodidatta, avendo dovuto interrompere la scuola a 13 anni per andare a lavorare. “I giovani amici della piazzetta lucchese”, ricorda Giorgio Patrizi nel Dizionario biografico degli italiani della Treccani, “– lo scultore Gaetano Scapecchi, il pittore Giuseppe Ardinghi, lo scrittore Arrigo Benedetti – lo spinsero ad accostarsi al mondo dell’ar te”. Cominciò a dipingere, scrisse le prime poesie, si avvicinò al gruppo della rivista So lar ia ( El io Vittorini, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Alessandro Bonsanti), collaborò con Il Selvaggio, L e t t e ra t u ra, Prospettive di Curzio Malaparte, La Ruota. Quando fu l’ora di scegliere da che parte stare, scelse la lotta antifascista. Riferisce Patrizi che “entrato nel gruppo della Resistenza romana, il 2 maggio del 1944, Petroni fu arrestato mentre distribuiva volantini contro gli occupanti. Condannato a morte dal tribunale militare tedesco, venne rinchiuso in varie prigioni romane: da quella famigerata di via Tasso, dove fu vessato e torturato, a quella di Regina Coeli, dove attese l’esec uzione con altri prigionieri politici. La liberazione di Roma da parte degli Alleati, il 4 giugno, lo salvò in extremis dalla morte. Da questa drammatica esperienza, nacque il romanzo che diede maggiore notorietà allo scrittore, Il mondo è una prigione”, apparso prima su Mercurio e Botteghe Oscure e poi per Mondadori. Petroni scrive nella Morte del fiume che “se uno perde l’immagine della propria origine perde se stesso, finisce per nutrirsi di parvenze”. Quelle “par venze”che oggi cancellano memoria e storia.
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