Tuttolibri, 29 aprile 2023
Per trenta ore Goebbels ebbe il suo governo
Il 30 aprile 1945 tra le 15.15 e le 15.30 si consumò in un bunker di una Berlino sotto assedio dell’Armata Rossa, l’atto finale della dittatura nazista con il suicidio di Adolf Hitler e della sua compagna Eva Braun.
Questo evento non rappresentò però la fine della Germania come entità statuale ancora in guerra contro Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e i loro alleati, perché Hitler lasciò puntuali disposizioni testamentarie su chi dovesse succedergli alla guida della Germania.
Il Führer in preda al suo ultimo delirio di onnipotenza e indisponibile ad accettare qualsivoglia di forma di resa, il 29 aprile del 1945, alle 4 del mattino, firmò il suo testamento, con cui, in primo luogo, spogliò di tutti gli onori, con l’accusa di alto tradimento, due dei gerarchi a lui più vicini: Hermann Göring, erede designato e Heinrich Himmler.
Sdoppiando le cariche che aveva forzosamente unito nel 1934, Hitler nominò Presidente del Reich, l’ammiraglio Karl Dönitz e nuovo cancelliere, Joseph Goebbels, fino ad allora potente ministro della propaganda e «costruttore instancabile e bugiardo della narrazione nazista».
È al governo di Goebbels, durato una trentina di ore soltanto e di cui c’è scarsa traccia nei libri di storia, che Giovanni Mari, già autore del saggio in cui ha raccontato la storia inedita del Panzerbär, un giornale stampato per pochi numeri nel bunker di Berlino, dedica il suo ultimo lavoro, con una scrittura asciutta e incalzante che aiuta il lettore a immergersi nella psicologia dei protagonisti e nei luoghi in una Berlino teatro dell’atto conclusivo della seconda guerra mondiale.
Mentre Dönitz, che aveva, insieme ad Albert Speer, il suo quartier generale a Plön, nel nord della Germania, rimase inizialmente all’oscuro del suo nuovo incarico, Goebbels, alla morte di Hitler, prese immediatamente possesso delle stanze del rifugio costruito sotto la Nuova Cancelleria, occupate fino a qualche ora prima dal capo di un Reich accerchiato e senza possibilità di vittoria nonostante potesse disporre ancora di circa 3 milioni di soldati, sparsi nei vari teatri di guerra.
A causa dell’ostinazione di Hitler e dei gerarchi nazisti nel non accettare la realtà della sconfitta dopo il fallimento dell’Operazione Barbarossa contro l’Urss, quasi la metà (2,6 su di un totale di 5,3 milioni) dei soldati germanici caduti morì nell’ultimo anno di guerra.
I numeri non riescono però a descrivere la distruzione totale, l’immane spargimento di sangue e la lotta casa per casa, strada per strada delle ultime ore della Berlino in cui si svolse la fallita trattativa tra il governo Goebbels e quello dell’Unione Sovietica di Stalin, per il tramite dei generali dell’Armata Rossa con a capo il generale Ciuikov.
Tra i gerarchi nazisti e i comandi militari tedeschi era iniziata a maturare l’idea che la strenua difesa di Berlino potesse essere funzionale all’obiettivo di cadere prigionieri non dei sovietici, nemici di sempre, ma degli angloamericani.
A sorpresa e tradendo immediatamente le ultime volontà di Hitler, Goebbels si mosse per avviare una trattativa (senza capitolazione) con i rappresentanti sovietici, il cui esercito era arrivato per primo nella capitale tedesca e stringeva d’assedio quel che rimaneva del centro di comando politico e militare della Germania nazista.
«Quest’ometto rinsecchito si è lasciato andare, è pallidissimo, ha le gote scavate» - così descrisse l’aspetto di Goebbels nelle ultime ore un capitano dell’esercito tedesco - «L’espressione del suo viso e dei suoi occhi sempre accesi di fanatismo denuncia la profonda angoscia che lo divora. (…) Insomma è diventato una vittima della sua stessa propaganda».
Nella sua quadruplice veste di gauleiter di Berlino (dal 1926), di plenipotenziario del Reich per la guerra totale (dal 23 luglio 1944), di commissario per la difesa di Berlino (dall’aprile 1945) e ora di cancelliere, Goebbels inviò un suo emissario, il generale Krebs, a parlamentare con i comandi militari sovietici portando in dote la notizia della morte di Hitler. La proposta era quella di una tregua per consentire il ricongiungimento con il Presidente Dönitz, il riconoscimento del nuovo governo tedesco e il conseguente accordo per la cessazione delle ostilità.
La risposta dei sovietici, dettata da Stalin in persona, fu netta: capitolazione incondizionata, nessuna trattativa separata come concordato a suo tempo con gli alleati angloamericani.
Una soluzione inaccettabile per Goebbels che aveva già deciso di seguire l’esempio del suo Führer.
Il 1 maggio 1945, poco dopo le 21, dopo aver tolto la vita ai loro sei figli innocenti, tutti con un nome con l’iniziale «H» in onore di Hitler, Goebbels e la moglie posero volontariamente fine alla loro esistenza. I loro corpi furono bruciati come quelli di Hitler e Eva Braun.
Negli stessi minuti Radio Amburgo, annunciava al popolo tedesco l’avvenuta morte del Führer e le truppe sovietiche combattevano gli ultimi scontri prima della resa tedesca a Berlino, firmata alle 8.23 del 2 giugno 1945.