Tuttolibri, 29 aprile 2023
Milo Manara nel Nome della rosa
Sono arrivato a disegnare Il nome della rosa quasi banalmente. Mi è stato chiesto di farlo da Igort, il quale mi ha riferito che l’idea era maturata anche dai figli di Umberto Eco. Ho conosciuto poco e solo superficialmente Eco, so che apprezzava il mio lavoro. Lo conoscevo molto meglio come autore, non ho perso nessuno dei suoi romanzi e nessuna delle sue Bustine di Minerva, per me la prima lettura de L’Espresso.
Ho amato molto Il nome della rosa e anche il bellissimo film che ne ha tratto Jean-Jacques Annaud, ne è stata realizzata anche una serie televisiva, tutti aspetti che mi ponevano davanti a una sfida importante. Mi sarei poi dovuto confrontare con qualcosa distante dalla mia specialità: un fumetto i cui protagonisti sarebbero stati tutti uomini. Uomini in tonaca poi.
Ho pensato di farne un romanzo di formazione, o meglio, anche un romanzo di formazione, perché quello di Umberto Eco è anche un libro sui libri, un libro sul Medioevo che esprime concetti di grande attualità, come la povertà e il dibattito sulla povertà. Ero interessato a dare una lettura diversa da quella data da Jean-Jacques Annaud nel film. Il Medioevo raccontato da Annaud è infatti gotico, rimanda a quell’immaginario proprio della letteratura romantica dell’Ottocento, quello per esempio di Mary Shelley, Bram Stoker, Edgar Allan Poe, legato all’orrido e al tenebroso e che non rispecchia la lettura che dà invece Eco di questo periodo storico. Basta pensare ai marginalia, alle vignette, quelle piccole decorazioni di alberelli, foglie, pampini che decoravano le pagine dei manoscritti. Nasce da qui la parola «vignetta», un motivo in più per giustificare una versione a fumetti del romanzo. Osservando i marginalia emerge un Medioevo che è tutt’altro che oscuro, caratterizzato invece da una fantasia quasi febbricitante, inestricabilmente connessa alla realtà. Si credevano cose mirabolanti, la gente viveva sospesa tra realtà e fantasia, tra ignoto e noto, dando spiegazioni fantasiose, anche comiche a ciò che non era conosciuto. Era un’umanità che suppliva con una creatività straordinaria a una mancanza di conoscenza. Da fumettaro, naturalmente, nella mia lettura del romanzo non potevo che dare grande importanza ai marginalia e all’immaginario che evocavano.
Anche il testo del romanzo conferma che Eco non aveva una visione del Medioevo tenebrosa e orrorifica. Quando descrive per esempio l’arrivo di Guglielmo e di Adso nella biblioteca, il famoso labirinto, lo stesso Adso scrive che si sarebbe aspettato qualcosa di spaventoso, ma che si trovarono invece in una sala che lui descrive come «nulla di terrificante». Se nel film, che ho amato moltissimo, il labirinto richiama il castello di Dracula e le incisioni di Escher, quello del romanzo è invece un’elaborazione de La Biblioteca di Babele, chiaro omaggio a Borges. Quello del labirinto è un concetto fondamentale intorno al quale ruota il romanzo di Eco. L’angoscia che provoca non nasce però dall’orrore delle architetture, ma dal ritrovarsi davanti a una serie di sale tutte uguali, ognuna con il suo tavolino, con i suoi armadi pieni di libri. Stanze che vanno avanti all’infinito nella Biblioteca di Babele e che nell’opera di Eco costituiscono un labirinto, per sua natura infinito. Guglielmo e Adso lo precorrono accompagnati da tutti quei libri che sussurrano verità, e che al contempo le confutano. Anche la scelta di Eco di utilizzare come modello Castel Del Monte va nella stessa direzione. Castel Del Monte appare infatti come uno scrigno che racchiude un enigma indecifrabile. Eco, come dimostrano anche i suoi disegni preparatori, ne ricalca la struttura con i suoi torrioni ottagonali, il cuore dell’edificio rappresentato dal cortile interno.
Quello a Borges non è però l’unico omaggio presente nel romanzo, è chiaro anche quello a Conan Doyle nel nome del protagonista, Guglielmo da Baskerville come Il Mastino dei Baskerville, uno dei più famosi romanzi del creatore di Sherlock Holmes, e in quello di Adso, che rimanda al Dottor Watson.
Il nome della rosa è anche un divertissement, un romanzo che è sempre «anche» qualcos’altro. È un libro sui libri, il che giustifica il suo adattamento a fumetti, essendo questo un libro che va ad aggiungersi alla «matrioska» che è il romanzo di Eco: un libro sui libri che parlano di libri.
Ho dato molta importanza ai racconti contenuti nel romanzo, quello di Dolcino e quello di Salvatore, per esempio. Sono storie che raccontano di un periodo nel quale le persone credevano realmente in Cristo e nella sua povertà. Si entusiasmavano e seguivano predicatori che in poco tempo radunavano intorno a sé decine di migliaia di persone. Predicavano la fede in modi molto diversi, dal sesso libero all’eremitaggio, dormendo con donne senza commettere, sembra, atti impuri, ma anche saccheggiando per poter mangiare mentre si spostavano lungo l’Italia e fino alla Francia.
Tutto il lavoro di Eco è stato per me fondamentale, è stato la mia unica fonte. Quello che volevo fare era disegnare delle chiose illustrate del suo romanzo, cercando di essere il più possibile fedele alla ricostruzione che fa del Medioevo. Non ho cambiato una sola parola del testo, una fedeltà assoluta che riguarda anche i disegni preparatori realizzati da Eco. L’unica eccezione è il personaggio di Guglielmo da Baskerville, descritta dall’autore come una persona molto alta, molto magra e con il naso aquilino, il che ci rimanda immediatamente a Sherlock Holmes. Il nome della rosa è stato anche un film che ha avuto un successo planetario, come il romanzo. Per questo Guglielmo da Baskerville ha il volto di Sean Connery. Avrei potuto decidere di seguire un’immagine così radicata nei lettori, oppure cambiare completamente direzione. Dovevo trovare una fisionomia che fosse già entrata nell’immaginario visivo collettivo e che avesse un carisma pari a quello di Connery, riuscire a far dimenticare il suo volto almeno per la durata della lettura del mio adattamento. Partendo dal naso aquilino mi sono allora fissato su Marlon Brando. Non riuscivo a staccarmene, oramai avevo in testa tutta la storia interpretata da lui, mi pareva perfetto. È il Brando di Ultimo tango a Parigi, nel quale l’attore aveva la stessa età che da quanto scrive Eco dovrebbe avere Guglielmo da Baskerville, quaranta, quarantacinque anni. Anche per il personaggio di Jorge da Burgos ho utilizzato come riferimento i disegni di Eco, e così per gli armadi, che ho riprodotto così come lui li ha disegnati. Unico deragliamento, che definirei felliniano, quello di esagerare con le loro dimensioni per aumentare il senso di angoscia provocata dal labirinto. Sono armadi di cui si fatica a vedere la fine, e ai quali ho aggiunto una scala per rendere quell’immagine plausibile.
Ho cercato con il mio lavoro di restituire un Medioevo fedele all’immagine che ne dà Eco nel romanzo, non cupa e terrificante, ma caratterizzata da fantasia e creatività divoranti, come dimostrano i marginalia. Forse l’utilità di questo adattamento a fumetti sta proprio nel mettere sulla pagina questo, raccontare un Medioevo diverso, la cui immagine si è in me modificata proprio grazie alla lettura di Umberto Eco.