La Lettura, 29 aprile 2023
Sulle corna dei cervi maschi
Il palco (le corna ramificate dei cervi maschi) è considerato un carattere sessuale secondario, uno dei più esagerati, a dirla tutta, del mondo animale, e le corna dei cervi crescono in fretta più di ogni tessuto osseo di qualunque altro mammifero. Ma la cosa stupefacente – e ancora oggi non completamente conosciuta nei suoi determinanti cellulari – è che ogni anno all’inizio della primavera i cervi perdono la magnifica corona, e l’autunno dopo... eccone una nuova, identica alla precedente nella sua struttura fondamentale ma con rami in più e maggiore complessità. Vuol dire che i tessuti si rigenerano? Proprio così. Vorremmo potesse essere lo stesso anche per i tessuti dei mammiferi, incluso l’uomo; purtroppo non è così. Le salamandre, in particolare l’assolotto che vive soprattutto in Messico, certi anfibi e le lucertole sì che rigenerano i loro tessuti danneggiati ma i mammiferi no, salvo che per le corna dei cervi, appunto, un’assoluta eccezione nel mondo animale.
A primavera avanzata o verso gli inizi dell’estate le corna crescono (2,75 centimetri al giorno) e nel giro di tre mesi calcificano con una apposizione di minerali di 3,2 micrometri per giorno: nulla del genere si verifica nei grandi mammiferi. «Ma tutto questo succede a spese di chi?», si chiederà qualcuno di voi. Giusto, una crescita così eccezionale potrebbe persino essere un handicap dato che comporta un’immensa richiesta nutrizionale per qualcosa che poi è destinato a cadere e ricrescere ogni anno. Così le dimensioni delle corna del cervo riflettono l’efficienza del metabolismo di quell’individuo e di conseguenza le sue capacità di procurarsi il cibo. Con la fine dell’estate il palco perde il suo manto di velluto, che serviva a fornire ossigeno e nutrienti per la crescita delle corna – lasciando ossa inerti pronte per la lotta con gli altri maschi.
Il significato evolutivo principale dell’imponente corona dei cervi è la selezione sessuale che si basa su due meccanismi fondamentali: per prima cosa la competizione fra i maschi perché prevalga il migliore, sarà lui a fecondare tutte le femmine del circondario, contribuendo così al miglioramento della specie; e poi la scelta da parte delle femmine del compagno più prestante. Chi ha un palco davvero maestoso prevale sugli altri maschi perché è quasi sempre il più forte, probabilmente più fertile, e piace alle femmine.
Gli studi sulle rigenerazioni delle corna dei cervi si sono sempre concentrati sugli aspetti morfologici e sui geni che sottendono questo processo senza affrontare il problema più affascinante: quali sono le cellule coinvolte in quel processo e come interagiscono fra loro? Per farlo un gruppo di ricercatori cinesi di diverse università e con diverse competenze ha studiato 74.730 cellule prese a vari stadi della formazione del palco di diversi cervi. Cellule con nomi più o meno complicati (mesenchimali, condroblasti, osteoblasti, fibroblasti, condrociti, periciti e cellule endoteliali) oltre a cellule del sistema immune; le cellule si definiscono in base a certi marcatori, specifici per determinate popolazioni cellulari, non condivisi da altre. Nei campioni studiati c’erano in grandi quantità cellule «mesenchimali» che sono le stesse cellule responsabili della ricrescita delle estremità nelle rane e in certi anfibi che rigenerano i propri tessuti dopo un danno. Era logico pensare che le stesse cellule fossero coinvolte nella rigenerazione delle corna dei cervi, ed è proprio così. Non solo, ma queste cellule dialogano con altre – che i medici chiamano condroblasti e condrociti – e c’è il caso che le cellule mesenchimali si trasformino loro stesse in condroblasti. Tutto questo si associa a una graduale riduzione dei geni caratteristici delle cellule mesenchimali per lasciare il posto a quelli che si esprimono prevalentemente nei condroblasti e condrociti. Le cellule mesenchimali che favoriscono il processo di crescita sono lì fin dall’inizio e questo ci fa capire come la rigenerazione di tessuti di mammiferi (quando si dovesse verificare) dipenderà dalle cellule staminali residenti in quegli stessi tessuti.
Già a cinque giorni dalla caduta delle corna, le cellule mesenchimali – ce ne sono almeno di tre tipi diversi, con nomi ancora più complessi che vi risparmio – crescono e si organizzano in due masserelle agli estremi opposti del «peduncolo», la base da cui parte il processo di formazione delle corna, per poi fondersi. Contemporaneamente arrivano le cellule endoteliali così da formare il tessuto vascolare (arterie e vene) necessario alla crescita delle corna. In comune fra il processo di rigenerazione degli arti degli anfibi e quello delle corna dei cervi c’è il coinvolgimento del sistema immune che è soprattutto affidato ai macrofagi (le stesse cellule che intervengono nei processi di riparazione di qualunque ferita). E così queste masserelle di tessuto informe cominciano a crescere a partire dal punto stesso dove le corna cadono, hanno in sé tutte le informazioni che servono per formare un organo intero, il palco appunto. Da non credere: popolazioni simili a quelle che sono in grado di rigenerare tessuti negli anfibi e nei pesci esistono anche nei mammiferi e possono – per quanto in circostanze del tutto particolari – avere la stessa funzione. Cellule mesenchimali ce ne sono anche nel midollo delle ossa lunghe di ciascuno di noi e vengono usate da anni per curare certe malattie. Quelle che rigenerano le corna dei cervi però sono mesenchimali un po’ particolari, sono fatte per formare tessuto cartilagineo e tessuto osseo. La velocità di crescita delle corna dei cervi è un capolavoro di organizzazione spaziale. C’è un centro attorno al quale si muove tutto, che è il centro della crescita, che ricorda dal punto di vista istologico il centro di crescita delle ossa lunghe negli embrioni. E poi ci sono cellule mesenchimali alle estremità più distale delle corna che dialogano con altri tipi di cellule responsabili della formazione della cartilagine e poi dell’osso. Naturalmente tutto questo si associa a espressioni di diversi geni che i ricercatori hanno potuto associare a ciascun tipo di cellule attraverso un sistema sofisticato che chiamano «Rna-seq».
La somiglianza dei meccanismi cellulari e molecolari responsabili della crescita delle corna del cervo con quelli che sottendono lo sviluppo delle ossa lunghe dell’uomo suggerisce processi estremamente simili, e questo è così vero che quando i ricercatori sono andati a cercare i geni espressi nell’uno e nell’altro ne hanno trovati 151 in comune. E in comune sono anche le corrispondenti proteine dell’osso e altri fattori di crescita. Se pensiamo allo sviluppo delle corna dei cervi riusciamo anche a capire il perché della crescita così rapida dello scheletro dell’embrione dato che le une e l’altro riconoscono gli stessi meccanismi, fino ad arrivare ai geni deputati alla formazione dei vasi sanguigni senza i quali non ci potrebbe essere crescita.
Più studiamo i cervi e la loro straordinaria capacità di far cadere e ricrescere la loro corona ogni anno, più avremo informazioni sui geni e sulle cellule che partecipano a questo processo e a come si rapportano tra loro. E quando ne sapremo di più le potremo impiegare per curare fratture, danni cartilaginei e osteoporosi. Conoscere a fondo questi meccanismi potrebbe anche avere, in futuro, una ricaduta per la medicina riparativa dello scheletro e chissà che un giorno, sfruttando le proprietà rigenerative dei cervi, non si possa persino pensare di far ricrescere un arto a chi abbia subito un’amputazione.