la Repubblica, 29 aprile 2023
L’atomica non è più un tabù
L’equilibrio del terrore si sta pericolosamente incrinando. La terribile equazione messa a punto durante la Guerra Fredda per tenere a freno gli arsenali nucleari, senza però riuscire a smantellarli nel trentennio della pace, comincia a perdere pezzi. Vengono schierate altre testate, sospesi accordi di garanzia e soprattutto inaspriti i toni retorici del confronto: è come se l’invasione dell’Ucraina avesse provocato una slavina, all’inizio lenta ma che accelera ogni giorno, rischiando di riaprire i cancelli dell’Apocalisse. Nei discorsi dei leader gli ordigni atomici non sono più un tabù: stanno diventando un argomento quotidiano, spingendo dal Baltico al Pacifico a interrogarsi sulle prospettive concrete di impiego delle atomiche.
In Bielorussia i preparativi perl’arrivo delle testate promesse da Putin sono stati completati. I piloti dei caccia Sukhoi 25 e il personale dei missili Iskander hanno terminato l’addestramento: entrambi opereranno nella regione occidentale, proprio sui confini della Nato. Sono state mostrate le esercitazioni dei semoventi e i lavori per ripristinare la vecchia base nascosta tra i boschi, dismessa alla fine dell’Urss. Adesso manca solo la consegna delle bombe russe destinate ai reparti di Lukashensko. Una mossa decisa con l’intento di provocare una reazione a catena. La Polonia, che negli scorsi mesi aveva avviato colloqui con gli Stati Uniti per valutare il posizionamento nel Paese di ordigni americani, finora non ha reagito: la Casa Bianca sta facendo di tutto per impedire la proliferazione e ha discretamente promesso che le batterie contraeree di Patriot non lasceranno il Paese, tutelato comunque dai trattati atlantici.
Le stesse motivazioni hanno spinto il presidente Biden ad annunciare “lo scudo nucleare” sulla Corea del Sud, in cambio della rinuncia di Seul a costruire una propria capacità autonoma. Un’intesa puramente difensiva, che di fatto ha scavato una crepa nei rapporti di forza su cui fa leva il ministero degli Esteri russo: «È un passo destabilizzante – ha dichiarato Mosca – che può scatenare una corsa agli armamenti».
Si tratta di un nuovo fronte, quello asiatico, che non era mai stato protagonista del duello atomico. Ora non bisogna fare i conti solo i disegni imprevedibili di Kim Jong-un, che continua a perfezionare missili e ogive, ma anche con il rapido sviluppo dell’Esercito Popolare cinese: Pechino vuole portare da 400 a 1.500 le sue testate, senza bisogno di rispettare accordi che non ha mai siglato. Questa potenza lancia un’ombra sinistra su due continenti e potrebbe condizionare le scelte di altre nazioni. Tra le più preoccupate c’è l’Australia, che dopo avere varato l’acquisto di sottomarini a propulsione nucleare ha preso in considerazione l’adozione dei bombardieri “invisibili” B-21. Il governo di Canberra non intende dotarsi di atomiche, ma i recenti atterraggi dei B-52 venuti dagli States hanno riacceso la discussione sulla presenza di quelle statunitensi.
Non è un caso. Il Pentagono oggi deve cambiare strategia e misurarsi per la prima volta nella storia con lo scenario di una duplice sfida: alla Russia si è aggiunta la Cina e questo impone di ridefinire tutti gli schemi della deterrenza. Il problema era già stato affrontato in maniera muscolare dalla presidenza Trump che nel 2018 ha ordinato di incrementare la produzione di “noccioli” al plutonio per modernizzare tutte le testate, con un programma che punta a realizzarne ottanta l’anno entro il 2030. Per questo oltre ai laboratori di Los Alamos, quelli del Manhattan Project dove vennero messe a punto le bombe di Hiroshima e Nagasaki, si sta trasformando l’impianto di Savannah River.
Washington però non intende abbassare la guardia nei confronti di Mosca. Dieci giorni fa un aereo molto speciale ha attraversato l’Europa evitando il più possibile di sorvolare la terraferma: si è mosso lungo rotte illogiche per restare sul mare ed è sceso su tre basi altrettanto particolari. Per questo si ritiene che il C-17 Globemaster abbia trasferito trenta nuove B61-12 per rimpiazzare le vecchie “bombe tattiche” di Ghedi (Brescia), Pordenone (Aviano) e di Incirlik, in Turchia. Sono custodite da personale americano per essere impiegate anche dalle squadriglie alleate, incluse quelle dell’Aeronautica italiana. L’operazione top secret, pianificata da tempo, è venuta a coincidere con il momento di massima tensione internazionale. Sulla carta, queste armi hanno la stessa carica distruttiva di quelle che sostituiscono – sono inferiori a 50 kilotoni ossia circa due volte quella dell’ogiva che rase al suolo Nagasaki – ma possono penetrare nel suolo, aumentando l’effetto devastante. Mostri che l’umanità sperava di avere dimenticato e che tornano a minacciare il futuro del pianeta: l’orologio che indica simbolicamente quanto manca all’Apocalisse segna 50 secondi. L’allarme non era mai stato così drammatico, neppure nei giorni più cupi della Guerra Fredda.