la Repubblica, 29 aprile 2023
Bertinotti: “L’estetica è decisiva in politica”
«Faccio l’intervista, ma a una condizione — dice Fausto Bertinotti — che non si parli ancora del mio famoso golfino di cachemire, che peraltro mia moglie aveva comprato al mercatino dell’usato, come ho detto un migliaio di volte. Sono stufo, il golfino ha diritto all’oblio».
D’accordo, niente golfino. Ma che ne pensa della nuova segretaria Pd col personal shopper?
«La capisco, oggi c’è grande attenzione alle forme di comunicazione estetica. Fa parte di questo nuovo mondo, non è il mio, ma lo guardo con curiosità».
Dirlo è stato un errore di comunicazione?
«Non credo. Di uno dei leader più austeri della politica italiana, Palmiro Togliatti, si ricorda l’invito ai parlamentari comunisti ad indossare l’abito blu per andare alla Camera.
Era l’idea di portare l’estetica nella dignità della carica. Oggi l’abito viene indossato per mostrare la propria appartenenza a un mondo».
Quale è il mondo di Schlein?
«Quello delle canzoni di Sanremo. O delle serie Netflix. Noi ci prendevamo in giro: le Clark sono di sinistra, le Church’s di destra. Solo che allora queste cose erano marginali, anzi sottoponibili aldivertissement . Oggi occupano un posto rilevante, l’immagine dice chi sei».
Di Occhetto invece si ricorda il completo marrone.
«Ma no, Achille era l’uomo che aveva fatto l’ultimo intervento al funerale di Togliatti e che propose lo scioglimento del Pci».
Certo. Ci si ricorda di quel completo perché lo indossò al confronto tv con Berlusconi.
«Perché Berlusconi fa dell’immagine il perno della sua politica, il primato del leader sul partito. È stata la controrivoluzione».
Senza parlare del cachemire, possiamo dire che lei è stato un politico elegante. Il personal shopper ce l’ha mai avuto?
«No, appartengo a un’altra generazione. L’eleganza era un debito nei confronti dei padri, che ci avevano insegnato che a scuola, per quanto poveri, dovessimo portare il meglio, per essere alla pari con gli altri. Mio padre, socialista anarchico, aveva una cravatta di seta e un fazzoletto bianco nel taschino e al lavoro aveva a che fare tutti i giorni col carbone. Giuseppe Di Vittorioinsegnò ai suoi braccianti a dismettere il tabarro per indossare il cappotto, dei borghesi».
È un uomo anche mondano, Bertinotti. Schlein sembra approcciarsi a quegli ambienti. È andata a cena a casa di Baglioni, ai Parioli. Consigli?
«Di fregarsene, anzi diciamo di alzare le spalle. Questa modalità di commentare ingiuria chi fa i commenti. Tiri avanti tranquilla».
Il Pd ora è più di sinistra?
«Indubbiamente Schlein rappresenta un elemento di novità.
Però quale è il suo campo? Non si può definire genericamente sinistra».
E quale sarebbe?
«La sinistra storica è quella del movimento operaio. Dopo la lunga e incompleta transizione che è arrivata fino al Pd è intervenuto un fatto nuovo, non determinato dalla politica ma dai fermenti della società civile. Ma non è in continuità con la sinistra storica italiana, segnasemmai l’ingresso di quella liberal ,all’americana. Non è una sinistra di classe, che dovrebbe essere pacifista e tendenzialmente neutralista. Ma le si può chiedere, a Schlein, una radicalità, senza la quale neanche il campo liberal è animato. Radicalità sulle armi e sui salari».
Però difende il salario minimo e il reddito di cittadinanza.
«Ma non vedo una mobilitazione. In generale, non le chiediamo di rispondere alla domanda di Lenin ‘Che fare?’, ma di essere chiara».
Non lo è?
«Spesso ha una vivacità nei toni, che però non sono supportati dalla radicalità della scelta. Noto questo ritorno all’uso del “si però”, del “no ma”, insomma del “ma anche”».
E Conte? Qualcuno addirittura dice che sia il nuovo Bertinotti.
«Lasciamo stare Bertinotti. Non è neanche Melenchon, che sta nel campo della rivolta, nel tumulto. E qui non ne vedo l’ombra. Uno può guardare con interesse a Conte, per esempio sulle armi, ma è un’altra cosa. Sta dentro un ripensamento delle culture populiste trasversali, né destra né sinistra».
Ora si dice progressista.
«C’è una differenza tra essere di sinistra e dirsi progressisti. Peraltro il vero ecologismo è contro il progresso. E l’ecologismo senza giustizia sociale è puro giardinaggio».