Corriere della Sera, 29 aprile 2023
Così Tullio Pericoli cattura l’essenza dei volti
Tullio Pericoli ha raccontato diverse volte come procede (o procedeva) nel fare un ritratto. È un lavoro di avvicinamento paziente e progressivo da cui si genera d’improvviso, attraverso un particolare, l’attimo dell’epifania, cioè della rivelazione del volto. Ritroviamo il suo racconto in Colti nel segno, un libriccino del 1995: «Prendo le foto che posseggo del personaggio prescelto, le distendo sul tavolo e le esamino ad una ad una, poi tutte assieme, comparandole. Faccio il primo schizzo su un blocco di comune carta da appunti: qualche volta appare subito un segno, un dettaglio che andrà coltivato. Strappo quindi il foglio e lo infilo sotto il successivo e mi concentro sul dettaglio che sviluppo sul nuovo foglio (...), e così di seguito, finché arrivo, per gradi, al risultato che mi soddisfa». È stata una lunga relazione d’amore, quella di Pericoli con il ritratto, a partire dalle prime committenze dei giornali. Un lavoro fatto prima e in contemporanea con i dipinti di paesaggio, dipinti che sono un’altra declinazione del ritratto, non umano ma naturale.
Con la sua matita, dunque, l’artista mette sulla carta un abbozzo, poi una prima redazione, poi un’altra, poi un’altra ancora, finché approda al risultato compiuto. C’è in tutto ciò un momento-chiave: quello che, scrive Pericoli, «mi procura sempre una piccola emozione ed è l’attimo in cui nei pochi segni di matita appena tracciati riconosco il volto per me vero, vivo e segreto di una particolare persona». Questi Ritratti di ritratti che escono adesso da Adelphi (in libreria dal 2 maggio) testimoniano il lavoro in fieri che conduce all’opera finale (forse finale): «ritratti di ritratti» è appunto questa dimensione al quadrato. Un filologo parlerebbe di edizione genetica attraverso le varianti testuali: è ciò che Gianfranco Contini ha illustrato in saggi del tipo Come lavorava l’Ariosto o nell’edizione di Montale, dove ha dato conto delle diverse fasi elaborative delle singole poesie. Pericoli propone così una sorta di variantistica d’artista. «Fantasie di avvicinamento», si potrebbero definire queste pagine, prendendo a prestito il bel titolo di una raccolta di letture critiche di Andrea Zanzotto.
Se chiedete a Pericoli di parlarvi di questo volume, per prima cosa vi mostrerà la copertina, dove compare il taglio orizzontale che inquadra gli occhi, l’attaccatura del naso e un accenno di rughe frontali. «Ecco, Beckett è qui…», dirà indicando due incisioni scavate tra gli occhi. «E Calvino? Calvino è qui». Il suo dito punterà agli angoli delle labbra, due buchini che accendono un lieve sorriso. Il gioco potrebbe continuare. Dove sarà Hemingway, colto quasi sempre di profilo o di scorcio? A intuito, si direbbe nelle fessure degli occhi. E Doris Lessing? Forse è in quelle sopracciglia che incombono pesanti sullo sguardo. Pirandello si direbbe nella forma, a mandorla, degli occhi. E così via, come se dal seme di quel dettaglio sbocciasse il ritratto nel suo insieme.
Dalla successione delle pagine possiamo intuire come arriva, Pericoli, a quell’accensione e a quella fioritura, entrando nel laboratorio. Ciò che non sapremo mai è il perché, se è vero che il percorso dell’invenzione conserva sempre qualcosa di inattingibile e misterioso. Che cosa muove la mano nell’attimo in cui avviene la rivelazione. Se Ritratti di ritratti ricostruisce il viaggio creativo, sia pure in direzione cronologicamente contraria (partendo dal risultato più recente e risalendo al più antico), tuttavia le date di composizione ci dicono che non si tratta quasi mai di un processo lineare: si va per tappe non sempre coerenti, con pentimenti, tentativi e recuperi a distanza (il magnifico olio finale di Primo Levi, del 2014, anticipato da schizzi remoti).
Se prendiamo Kafka, antica passione di Pericoli, notiamo a ritroso che l’approdo del 2017 ai disegni del Digiunatore in chiave giacomettiana (il libro recente), si realizza attraverso una lunga fase che parte dal 1996 con tecniche, impaginazioni e contesti diversi, dove già vanno e vengono le silhouette vaganti degli omini kafkiani. E quegli stessi dettagli appaiono come presentimenti nelle messe in scena più teatrali ancora precedenti. Ma va detto che una protostoria kafkiana in Pericoli risale al 1985-89 e raffigura lo scrittore alle prese con una gigantesca K, che tiene sottobraccio o fa volteggiare per aria.
Dunque, varianti e variazioni sul tema (il volto, il corpo). O meglio «variazioni e varianti», che avrebbe potuto essere un altro bel titolo, includendo in sé, nell’arte del ritratto, musica e letteratura. Certo, le variazioni e le varianti non sono mai indipendenti dalle tecniche, che in Pericoli sono molteplici, e un’ipotesi tutta da verificare è che, passando dalla carta al cartone alla tela, dalla matita o dalla china o dal carboncino al colore del pastello o (ancora di più) dell’acquerello o dell’olio, il ritratto tende ad aprirsi verso una scena teatrale (il tavolo da lavoro, lo studio) e persino a volte a inglobare variamente il paesaggio. Che spesso è un paesaggio interiore portato all’esterno, giocosamente (più di rado drammaticamente) sviscerato. È sul gioco che si scatena la sua «fantasia di avvicinamento» a quello che è di gran lunga il più ritratto dei «suoi» scrittori, Eco, vissuto e rivissuto, visto e rivisto, con divertimento reciproco tra il ritratto e il ritrattista. Fino però all’olio finale (2022), in cui il movimento incessante di una vita fisica e intellettuale sembra arrestarsi tragicamente.
Ovvio che si potrebbe continuare a indagare sulle rughe di Beckett (altra magnifica ossessione di Pericoli), su Gadda dal cappottone, sulle orecchie di Kafka, su Joyce quasi contorsionista, sul papillon di Mann, sulla sigaretta di Montale, senza tralasciare nessuno degli 89 personaggi disegnati, non solo scrittori e artisti, ma filosofi e scienziati (Marx, Darwin, Einstein, Nietzsche, Croce), registi (Buñuel, Hitchcock, Fellini, Woody Allen), musicisti (Stravinskij, Britten). O Rossini, che contiene in sé e fuori di sé interi paesaggi e colline marchigiane. Quelle da cui Pericoli è partito giovanissimo ma che non ha mai lasciato.