La Stampa, 27 aprile 2023
Chi controlla i malati psichiatrici?
Carenza di posti, lunghi tempi di attesa, necessità di definire meglio la pericolosità di un malato psichiatrico, ma anche necessità di un maggiore raccordo tra giudici e medici che lavorano nelle Rems. L’omicidio della psichiatra Barbara Capovani ripropone, in tutta la sua gravità, il problema della salute mentale e della reclusione dei malati psichiatrici giudiziari, ovvero quelli che hanno commesso reati.
Per loro in passato c’erano gli ospedali psichiatrici giudiziari, sostituiti, per effetto della legge 81 del 31 marzo 2015, dalle Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Su queste strutture sanitarie è in corso una polemica perché è evidente il cortocircuito tra posti disponibili e liste d’attesa.«In Italia esistono 31 Rems – precisa il Garante nazionale per i detenuti Mauro Palma –, ciascuna con 20 posti disponibili tranne Castiglione delle Stiviere, in Lombardia, con 150 posti e una Rems in Emilia che ne ha 35. Ma i numeri di coloro che sono “internati” o aspettano d’esserlo ci induce a una serie di riflessioni su queste strutture sanitarie che hanno preso il posto dei manicomi giudiziari».
Partiamo dai numeri. In carcere, in attesa di essere trasferiti nelle Rems, ci sono 42 persone. In lista d’attesa, con misure come la libertà vigilata o l’obbligo di firma, ce ne sono invece 675. Mentre quelli inseriti già nelle Rems sono 650. «In tutto sono 1.367 persone – prosegue Palma – un numero esorbitante se si pensa che quando chiusero gli ospedali psichiatrici giudiziari gli internati nel totale erano 698. Questo confronto deve indurci a riflettere che c’è qualcosa che non funziona. Dovuto forse al fatto che, poiché le Rems sono ritenute strutture meno drammatiche dei manicomi giudiziari, la valutazione del malato psichiatrico giudiziario forse non è sempre adeguata. A volte basta sfasciare i mobili di una stanza o sputare addosso a un poliziotto per essere ritenuto tale ma non è così. Per patologie meno gravi basterebbe appoggiarsi ai servizi territoriali, riservando le Rems solo ai pazienti realmente pericolosi».
Palma solleva, inoltre, un’altra questione: «Il 47% degli attuali internati nelle Rems è in misura provvisoria: questi “rubano” chiaramente il posto a chi ha una misura definitiva ma si trova ancora in lista d’attesa». In altre parole può capitare che i più pericolosi siano fuori mentre invece dovrebbero stare dentro le Rems.
Come si possono superare questi ostacoli? «Le Rems, purtroppo, sono un provvedimento acerbo. Occorre più personale, un maggior dialogo tra i gip che firmano le ordinanze, gli psichiatri impegnati nelle Rems e i giudici di sorveglianza. Più in generale servono più risorse e d’aiuto sarebbe anche il superamento della divisione degli psichiatri tra i sostenitori della libertà e chi rimpiange ancora la legge Basaglia».
Le Rems sono distribuite sull’intero territorio nazionale, solo l’Umbria ne è sprovvista e per questo si appoggia alla Toscana. Il numero varia da regione a regione, si passa ad esempio da Piemonte e Calabria, che ne hanno 2 a testa, al Lazio con 5.
Ma c’è anche chi è più tranchant del garante Palma. Come Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Spp, secondo il quale le Rems «andrebbero abolite perché sono un fallimento. Meglio tornare agli ospedali psichiatrici giudiziari ma con più personale e la presenza di uno Sportello di aiuto psicologico». Di Giacomo stigmatizza i lunghi periodi che intercorrono per accedere alle Rems: «Secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziari il tempo medio di attesa è di 304 giorni, con regioni come Sicilia, Puglia, Calabria, Campania e Lazio in cui l’attesa arriva fino a 458 giorni. Le regioni con più detenuti in attesa sono la Sicilia con circa 140 detenuti, la Calabria con 120 e la Campania con 100. Dunque la creazione delle Rems che sulla carta dovrebbero disporre di non più di 20 posti letto si è rivelato un espediente per scaricare detenuti con gravi problemi psichici senza tra l’altro disporre di risorse ed organici adeguati». Secondo il sindacalista «si continua a sottovalutare la presenza nelle carceri di detenuti con problemi psichici che costituiscono un terzo degli 84 suicidi dello scorso anno e aggrediscono gli agenti. La percentuale più alta dei detenuti con disturbi psichiatrici soffre di nevrosi; il 30% di malattie psichiatriche collegate all’abuso di droghe e di alcool; il 15% di psicosi».