il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2023
Da "Nobili contraddizioni. Vizi e virtù dell’aristocrazia inglese del Settecento" di Francesca Sgorbati Bosi (Sellerio)
Nel Settecento, la bellezza per una donna era senza dubbio un dono del cielo, meglio se accompagnata da un buon patrimonio e un bel casato, fattori che l’avrebbero abbellita notevolmente agli occhi di tutta la società anche se fosse stata appena passabile. E, infatti, nei giornali dell’epoca scopriamo che le dame di rango erano sempre definite “belle”, indipendentemente dalla loro reale avvenenza. Idealmente, una beltà doveva avere viso ovale ed espressivo, occhi grandi ma non troppo, bocca piccola, labbra morbide, denti piccoli e bianchi, pelle candida e trasparente, guance sode e rosee, seno piccolo, capelli ben attaccati e folti, fronte ampia, bianca e liscia, braccia piene e mani con dita affusolate ma non ossute, piedi piccoli. Gli stranieri notavano invece che tendevano ad avere dei piedi enormi, forse perché amavano eccessivamente camminare. Per molti la bellezza del viso era espressione della bellezza dell’anima, tuttavia si ammoniva che solo la virtù rendeva davvero belle. (…) La sincerità era un principio morale ammirevole ma di difficile attuazione, perché nessun aspetto della vita settecentesca contemplava che una donna potesse essere sincera: né le buone maniere, che imponevano di essere sempre amabili con tutti, dovunque e comunque; né la vita di corte e la vita mondana, dove spesso bisognava saper fare buon viso a cattivo gioco; né i matrimoni stipulati per convenienza; né il marito, che aveva per legge ogni diritto sulla moglie e sui figli; né la moda che obbligava a conformarsi a una figura completamente innaturale, dalla punta dei capelli alla punta dei piedi; né il leggiadro linguaggio del corpo, acquisito con anni e anni di severo allenamento col maestro di danza. Sorvolando su queste quisquilie e vagheggiando una bellezza sincera nei visi, nelle parole e negli atti, gli uomini preferivano prendersela col trucco e con tutti gli artifici usati per simulare, aumentare o conservare la bellezza e la giovinezza. Il maquillage dell’epoca era pesante e dannoso, perché impiegava prodotti tossici come piombo e minio. Le dame inglesi lo usavano con moderazione, data l’unanime condanna morale che lo accompagnava, ma non mancarono casi eclatanti di bellezze avvelenate nel fiore degli anni dall’uso del trucco alla francese, come quello di Mary Gunning, diventata col matrimonio contessa di Coventry e che Liotard immortalò vestita da turca. Lei e la sorella arrivarono dall’Irlanda con pochi mezzi ma la madre si rivelò un’eccellente PR e durante il viaggio verso la capitale convinse le migliori famiglie a invitarle a qualche evento mondano; soprattutto ottenne che la stampa desse il massimo risalto a ogni cosa che le riguardava. Il battage funzionò alla perfezione al punto che, quando giunsero a Londra nel 1750, erano già famose e colpivano i passanti con i loro bei visi, tanto che dovevano girare con una scorta per tenere a bada la folla degli ammiratori e dei curiosi. La bellezza valse loro ottimi matrimoni: Mary divenne contessa di Coventry, la sorella Elizabeth duchessa di Hamilton. Il duca di Hamilton, che stava giocando a carte quando l’aveva vista a una festa, era rimasto folgorato, al punto da perdere una fortuna. Di lì a poco l’aveva sposata. Visitando Parigi col marito, Mary cominciò a truccarsi come era di moda in Francia: un pesante fondotinta bianco a base di piombo e sulle guance il rouge a base di sostanze micidiali quali cinabro e minio. Morì a 27 anni, forse a causa di quei cosmetici che le avevano devastato la pelle. È però lecito supporre che anche allora esistessero cosmetici meno letali, se la famosa ballerina francese Marie-Madeleine Guimard, che era solita usare i pesanti trucchi di scena, arrivò ai 73 anni in ottima forma. Con encomiabile coerenza, per tutto il secolo i britannici condannarono il make-up come indecente, offensivo e criminale perché falsificava l’opera di Dio, ingannava il prossimo, rovinava la costituzione. La spietata caricatura di Thomas Rowlandson del 1792 non solo illustra in modo eloquente questa severa condanna, ma ci ricorda che il mercato offriva sussidi ben più ingannatori del trucco, come parrucche, posticci, denti finti e occhi di vetro. Altrove troviamo menzione del sughero in bocca per riempire le guance: un trucco per mostrare un viso paffuto che avrebbe avuto anche il merito di rendere una donna piuttosto silenziosa, come piaceva agli inglesi. Anche se irresistibile, la bellezza era pericolosa, sia per gli uomini, perché potevano fare mille sciocchezze fino addirittura a sposare chi era socialmente inferiore, sia per le donne, perché sarebbero potute diventare insopportabili oppure cadere vittime di libertini e cacciatori di doti. Una giusta via di mezzo era auspicabile: dato che ciò che davvero contava era la prima impressione, meglio essere graziose piuttosto che incantevoli, e soprattutto essere pudiche, riservate e silenziose.