il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2023
Va ripristinato “l’interesse privato” tolto nel 1990
Abrogare l’abuso d’ufficio vuol dire cedere ulteriore terreno nel contrasto ai reati contro la Pubblica amministrazione. Al contrario, si dovrebbe rendere il reato davvero perseguibile, innalzando il minimo edittale della pena prevista, in modo da consentire le intercettazioni. In questo modo, peraltro, tornerebbe al suo rango di “reato spia”: si potrebbero poi scoprire i tanti reati legati all’abuso d’ufficio.
In secondo luogo andrebbe ripristinato l’articolo 324 del Codice penale, abrogato nel 1990, che puniva (fino a 5 anni di carcere) il “pubblico ufficiale che, direttamente o per interposta persona, o con atti simulati, prende un interesse privato in qualsiasi atto della Pubblica amministrazione presso la quale esercita il proprio ufficio”.
In questo modo si ridurrebbero i fascicoli per abuso d’ufficio destinati poi a un’archiviazione. Il motivo è semplice: se il pm, negli atti sotto indagine, non trova segnali di un interesse privato, può ragionevolmente escludere che l’amministratore pubblico abbia agito con dolo. E l’indagine penale lascerebbe il campo a quella amministrativa. Viceversa, il pm avrebbe già in mano un chiaro segnale opposto, da verificare con le sue indagini.
Se davvero il governo vuol preservare gli amministratori onesti presi dalla “paura della firma”, disinnescare fascicoli destinati all’archiviazione e, nello stesso tempo, combattere i crimini contro la Pubblica amministrazione, potrebbe agevolmente muoversi in questa doppia direzione. Gli amministratori onesti che, in perfetta buona fede, incappano in un errore potrebbero dormire sonni tranquilli. E i criminali potrebbero essere invece individuati e puniti.