la Repubblica, 26 aprile 2023
L’Italia ha bisogno di stranieri, lo dice la Banca Mondiale
Fa impressione leggere il rapporto pubblicato ieri dalla Banca Mondiale sullo sviluppo a livello globale, perché dimostra con i dati quanto siano velleitarie le speranze di risolvere la crisi demografica dell’Italia senza un ricorso ragionato alla risorsa dei migranti. A pagina 75, ad esempio, si legge: «Le politiche per la natalità hanno avuto un impatto misto e relativamente limitato in tutti i paesi. Poiché il declino demografico è già avanzato, è improbabile che si inverta presto, se non per niente. L’Italia, ad esempio, conta attualmente circa 2,4 milioni di bambine sotto i nove anni. Ognuna di queste ragazze dovrebbe avere 3,3 figli, se volessero costruire una generazione grande come quella dei loro genitori: un drammatico aumento del tasso di fertilità, rispetto a quello attuale di 1,3». Commentando con Repubblica, la Banca aggiunge: «Paradossalmente, uno degli elementi chiave dell’aumento dei tassi di natalità è l’assistenza all’infanzia, che in molti paesi è fornita in modo sproporzionato dai migranti. Migrazioni e politiche per la nascite non sono dunque due elementi di una semplice alternativa, ma anzi si completano a vicenda».
L’istituto di Washington è diplomatico nel linguaggio, ma la realtà è che sperare di trovare la soluzione alla crisi nella promozione delle nascite è come credere che Don Chisciotte avesse una possibilità di sconfiggere i mulini a vento. L’attenzione quindi non andrebbe concentrata sull’inesistente complotto globale della “sostituzione etnica”, ma sul fatto che «l’Italia, con una popolazione di 59 milioni, dovrebbe ridursi di quasi la metà, a 32 milioni, entro il 2100». Anche ammesso che le politiche per la promozione delle nascite avessero successo, quante sono le probabilità che le prossime generazioni inizino a fare quattro figli per famiglia? E se pure avvenisse, i risultati non si noterebbero prima di una trentina d’anni: nel frattempo chi pagherebbe tasse, servizi, sanità e pensioni?
Prima di proseguire è indispensabile un chiarimento politico, a scanso di equivoci. Il “World Development Report”, intitolato quest’anno “Migrants, refugees and societies”, è l’ultimo firmato da David Malpass, il presidente nominato da Trump. Quindi una persona che non ha pregiudizi contro i governi conservatori, e non può essere liquidato come un liberal irresponsabile che vuole spalancare ai migranti i confini dei paesi occidentali. Eppure Malpass, pur riconoscendo problemi e rischi posti dal fenomeno, scrive: «I paesi di destinazionepossono sfruttare il potenziale delle migrazioni per soddisfare i loro bisogni a lungo termine del mercato del lavoro, in particolare far fronte alle carenze di manodopera innescate dall’invecchiamento o dalla mancanza di abilità specifiche. Possono migliorare gli sforzi per trattare i migranti in modo umano e affrontare la questione sociale e gli impatti economici sui propri cittadini». La Banca nota che al mondo ci sono oggi 184 milioni di migranti. «Le popolazioni di tutto il pianeta stanno invecchiando ad un ritmo senza precedenti, rendendo molti Paesi sempre più dipendenti dalle migrazioni per realizzare il proprio potenziale di crescita a lungo termine». La situazione è particolarmente grave in Italia, come si capisce dal drammatico grafico sulla nostra “piramide invertita”, dove si vede come nel 2050 il grosso della nostra popolazione avrà più di 60 anni. Per la precisione, gli abitanti sopra i 50 anni sono già raddoppiati, dal 21,5% del 1950 al 46,7% del 2022. E la tendenza è destinata a proseguire. Siamo una delle nazioni occidentali che naturalizza meno persone in arrivo, anche se «in media, icontributi fiscali netti dei migranti e dei cittadini naturalizzati nei paesi dell’Ocse sono più alti di quelli dei nativi». Rispondendo indirettamente alla premier Meloni, il rapporto aggiunge: «Italia, Grecia e Corea potrebbero potenzialmente aumentare la partecipazione delle donne al lavoro. Tuttavia, la portata di tali cambiamenti è alquanto limitata in molti paesi ad alto reddito, dove la partecipazione alla forza lavoro è già elevata». La soluzione quindi è obbligata, e passa attraverso una gestione razionale delle migrazioni.