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 2023  aprile 26 Mercoledì calendario

Sacchi, l’uomo che se si guardava indietro vedeva il futuro

«Era talmente avanti che se si voltava indietro vedeva il futuro». Basterebbe questa frase di Chicco Evani per spiegare la vita e le opere di Arrigo Sacchi, allenatore di calcio, nato a Fusignano nel 1946. Il regista Nevio Casadio, con «Arrigo Sacchi. La favola di un visionario» ci regala un ritratto di rara intensità, sorretto da una scrittura molto rispettosa che non si abbandona a estri personalistici ma che, attraverso la pulizia delle immagini, tratta le numerose interviste (a calciatori, allenatori, scrittori, giornalisti) come fossero tessere di un mosaico ravennate.
Era stato un coup de théâtre di Silvio Berlusconi a portare Sacchi a San Siro nel 1987 e c’è da credere a Baresi, a Costacurta quando dicono che il neoallenatore si presentò a Milanello da sconosciuto. Aveva guidato giovanili e dilettanti; tra i professionisti solo il Rimini e il Parma che da neopromosso in Serie B aveva eliminato i rossoneri dalla Coppa Italia, il giorno in cui Berlusconi si innamorò di quel mister (Amazon Prime). Quando Sacchi parla della sua «filosofia» («il calcio è anche cultura, filosofia») si esprime sempre in termini cinematografici: sceneggiatura, regia, interpreti.
Sacchi ha tentato di dare forme nuove al gioco: in questa prospettiva la «zona» è solo il processo finale di un lungo rivolgimento. La sua maniacalità, il suo rigore hanno dapprima creato sgomento e disagio: sono venuti a cadere i miti della «squadra femmina» e archetipi socioculturali come il concetto di «palla lunga e pedalare». Sui campi sterrati di Fusignano, Sacchi aveva studiato a lungo riuscendo a mettere nero su bianco la sua idea di calcio che ha rivoluzionato nel corso degli anni il modo di intendere il pallone: 4-4-2 con marcatura a zona, velocità e pressing alto. C’è stato un momento in cui l’Italia calciofila era spaccata in due: sacchiani e no. La Zona nasceva dallo studio, dal laboratorio, dall’applicazione degli schemi. Il Contropiede invece era la fantasia, l’invenzione talentosa, «il più mancino dei tiri». Guai ad azzardare che la Zona fosse invece il momento propositivo di un gioco, la visione globale, l’esaltazione della coralità e il Contropiede l’arte di arrangiarsi, la furbizia, il colpire di rimessa.