Corriere della Sera, 26 aprile 2023
Via la polvere da Manzoni!
Dall’uso che molte volte se ne fa, sembra che la parola «divulgazione» si porti dietro qualcosa di deteriore, che la fa assomigliare a un cibo liofilizzato, pronto per essere mangiato e digerito senza sforzo. Invece una buona divulgazione delinea una postura etica importante per la cultura di una comunità. E il libro di Eleonora Mazzoni — Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni (Einaudi) – è appunto importante perché assume proprio quell’atteggiamento capace di arrivare trasversalmente a tutti. Mazzoni costruisce un saggio denso, ricco di documentazione e di riferimenti testuali, ma senza gravare il lettore del peso della bibliografia e dei riferimenti critici. Questo può accadere soltanto quando chi divulga, se ne è davvero in grado, ha sotto controllo la materia nella sua complessità, ma sa gestirla e orchestrarla senza sforzo. Era proprio Manzoni, del resto, a credere che il vero scrittore fosse colui che dissimula la fatica di arrivare alla semplicità della pagina.
Capitolo dopo capitolo si scandisce tutto l’arco della vita di Don Lisander, da quando è in fasce fino al momento in cui diventa un adolescente inquieto e un adulto che frequenta Parigi insieme alla madre. E Giulia Beccaria è protagonista di queste pagine quasi quanto il figlio: la vediamo giovane, innamorata degli uomini colti, della capitale francese e dei suoi splendidi salotti e non di suo marito, il conte Pietro Manzoni, che vive nascosto nel suo studio, e infine vecchia, attaccata al braccio di quel figlio che aveva abbandonato piccolissimo. Oltre alla madre, anche altre donne hanno un ruolo significativo nella parabola esistenziale di Manzoni, che è un ragazzo dalle facili passioni, un marito devoto a Enrichetta e un vecchio spaventato dalla sua stessa ombra. Enrichetta Blondel, che nei manuali di letteratura è poco più di un nome, ci viene presentata per la prima volta nella sua complicata fisionomia di credente, di madre e di moglie. Ma ci sarebbe da parlare di Teresa Stampa e in genere di tutti quei legami elettivi che, come nota l’autrice, sono molto più procreativi di quelli di sangue. Si pensi all’amico Claude Fauriel, con cui Manzoni condivide il silenzio attonito di fronte al male del mondo. Sono molto toccanti le pagine in cui Eleonora Mazzoni racconta come i due, reciprocamente, non sapessero rispondere alle lettere che annunciavano le sventure più inconsolabili dell’amico. Travolti dal male, questi immensi scrittori toccavano con mano e condividevano l’impotenza della parola.
Dovrebbero bastare questi pochi accenni per comprendere come Il cuore è un guazzabuglio, che non è una biografia e non è un saggio – è piuttosto una storia —, non si limiti affatto a collezionare aneddoti ma si concentri a trattare, come dice il titolo, proprio la dimensione interiore delle esistenze che ruotano attorno a quella dello scrittore. Ecco perché il passo narrativo, che Mazzoni assume fin dalla prima pagina, non è mai improprio: perché a parlare è l’intimità dei personaggi, il loro sguardo sul mondo, i loro palpiti di fronte alle gioie e ai castighi della sorte, le private contraddizioni al cospetto degli uomini o di Dio. Questa andatura poteva reggersi solo se in primo piano si fosse collocata l’umanità dei personaggi e su tutti, naturalmente, quella di Alessandro Manzoni, lontano dall’immagine del saggio imperturbabile che ci restituisce il ritratto di Hayez. L’autrice consente così di stupirci per la complessità emotiva di un uomo che soffre per i gelsi che muoiono, per il romanziere indeciso se far primeggiare la storia o la fantasia, per l’anziano ironico che sorride della sua balbuzie quando lo propongono come senatore d’Italia. Un ritratto, insomma, simile a quello che ci aveva consegnato Natalia Ginzburg ne La famiglia Manzoni, ma per certi aspetti meno cupo.
E I p romessi sposi? Eleonora Mazzoni non ha scritto un saggio su I p romessi sposi. Anzi, il romanzo fa capolino quando ormai il racconto è ben avviato e per tutto il libro rimarrà un riferimento tanto obbligato quanto discontinuo. Le pagine manzoniane finiscono per intrecciarsi con i passaggi cruciali delle vite che si narrano, come se ne fossero il corredo e l’esemplificazione più chiara. La studiosa, poi, riesce a collegare in modo preciso il romanzo con le altre opere satellite del corpus manzoniano e a recuperare alcune delle letture critiche più convincenti che siano state date dei Promessi sposi. Basterà ricordare quella di Leonardo Sciascia, che vede nell’inamovibilità di don Abbondio il personaggio che trionfa su tutti.
La divulgazione è sempre originale, non solo perché sa trovare una chiave inedita per entrare nel mondo che vuole raccontare, ma perché lascia il desiderio di approfondire le conoscenze e affinare i nostri strumenti. Ed è quello che succede con questo libro.