il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2023
Goldman Sachs scommette contro l’Italia
I famigerati “mercati”, al momento, non paiono aver dato troppo peso alla cosa, ma certo la notizia rilanciata ieri da Bloomberg non può aver fatto piacere al governo: in un report inviato venerdì scorso la banca d’affari statunitense Goldman Sachs, una delle più grandi al mondo e già datore di lavoro di Mario Draghi tra 2002 e 2005, ha consigliato ai suoi clienti di “andare corti” sul debito italiano. In sostanza di scommettere contro i Btp, nell’ipotesi/previsione che lo spread tra i titoli decennali italiani e gli omologhi Bund tedeschi salga di circa 50 punti base nei prossimi mesi: dai circa 185 attuali a 235.
Il motivo è in larga parte nella “correzione”, avvenuta sempre la settimana scorsa, delle previsioni della banca Usa sulle future mosse della Bce: visto che i crac bancari paiono circoscritti e l’inflazione core (depurata di energia e alimentari) non sta calando, la Banca centrale europea tornerà ad alzare i tassi, probabilmente nella riunione di giugno, e difficilmente inizierà il “rientro” entro l’anno. Una tesi, per dire, sostenuta esplicitamente dal capo economista della Bce, Philip Lane: “Se lo scenario di base, che è alla base delle proiezioni macroeconomiche degli esperti fatte a marzo, persiste”, allora altri rialzi dei tassi saranno “appropriati”.
Ecco cosa scrivono gli analisti di Goldman Sachs: “Riteniamo che la resilienza degli spread sovrani sia in contrasto con una prospettiva macroeconomica difficile e scelte politiche chiave, in particolare la politica di bilancio della Banca centrale europea, con la stretta quantitativa pronta ad aumentare l’offerta di obbligazioni agli investitori privati”. In sostanza, il restringimento del Quantitative easing aumenta l’offerta di debito italiano sul mercato mentre la Bce aumenta i tassi, è lecito dunque attendersi un aumento dello spread (e dei rendimenti) e quindi il consiglio è scommettere contro i Btp puntando sui Bonos spagnoli: si può limitare “il costo di mantenimento della scommessa al ribasso sui Btp” beneficiando “della sovraperformance della Spagna, grazie a migliori prospettive di crescita, nonché di solidi progressi rispetto agli obiettivi di finanziamento”. L’altro motivo che spinge Goldman a consigliare di “andare corti” sull’Italia è infatti l’attuazione del Pnrr, che rischia di non avere effetti sulla crescita: “È probabile che aumenti il controllo sull’attuazione da parte dell’Italia del Recovery Fund, che a nostro avviso potrebbe iniziare a pesare sulle aspettative di crescita a livello nazionale”.
Finora, come detto, i mercati non hanno reagito: lo spread ieri era a 186 punti e il rendimento del Btp decennale al 4,3%, come nelle ultime settimane. Il problema per il governo è se la previsione – che è pure un consiglio agli investitori che può spingere quella previsione ad avverarsi – della banca d’affari statunitense dovesse essere corretta: renderebbe ancor più difficile nella prossima legge di Bilancio gestire “politicamente”, cioè scegliendo le proprie priorità, un bilancio pubblico di fatto già bloccato per i prossimi tre anni (almeno).
Il primo effetto, il più ovvio, di un aumento significativo dello spread riguarderebbe la spesa per interessi, già prevista aumentare in rapporto al Pil dal 3,7% (75 miliardi) di quest’anno al 4,5% (100 miliardi) del 2026. Più in generale è proprio il Documento di economia e finanza appena presentato dal ministro Giancarlo Giorgetti che dà una mezza risposta su cosa potrebbe accadere nel focus in cui si calcolano gli effetti di un aumento di 100 punti dello spread rispetto alle stime tra 2023 e 2026 (scenario di “rischio finanziario”): in sostanza perderemmo un punto di crescita reale in tre anni e il debito non scenderebbe riportandosi alla fine del periodo, nel 2026, sui livelli attuali (oltre il 144% in rapporto al Pil).
Numeri che nell’autolesionista metrica dell’Ue – anche quella pluriennale del Patto di Stabilità nella riforma proposta dalla Commissione – comportano ulteriore “consolidamento fiscale” rispetto a un bilancio dello Stato già “austero”: una coperta troppo corta perché possa coprire le bandierine elettorali della maggioranza, a partire dal taglio delle tasse.