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 2023  aprile 25 Martedì calendario

Biografia di Carlo Ludovico Bragaglia

Per chi ha dimestichezza col «pianeta» Totò, il nome di Carlo Ludovico Bragaglia (1894-1998) suona familiare, avendo lui diretto titoli perpetui quali Totò le Mokò e 47 morto che parla. Tuttavia Bragaglia, nella sua esistenza ultracentenaria, ha esplorato un numero enorme di altri «pianeti».
Ben venga l’intervento degli studiosi Orio Caldiron e Matilde Hochkofler i quali, nel volume Buona la prima. Il cinema di Carlo Ludovico Bragaglia (Edizioni Sabinae), tratteggiano la sua vita e le opere. I critici, vista la rapidità con cui licenziava prodotti di ogni risma, dalle commedie ai mélo ai peplum, presero l’abbaglio di sottostimarne la conoscenza approfondita del mestiere, rimuovendo pure il fatto che da ragazzo egli fosse stato, assieme al fratello minore Arturo e al portentoso fratello maggiore Anton Giulio, un attivista culturale senza freni. Anton Giulio, intellettuale carismatico, riuscì a farsi accogliere a braccia spiegate dagli esponenti più di spicco del futurismo. Carlo Ludovico gli stette accanto nella fondazione, nel 1918, della Casa D’Arte Bragaglia che per prima propose le avanguardie all’ignaro pubblico italiano, e nel concepimento, nel ’23, del Teatro degli Indipendenti, luogo di sperimentazione estrema dove transitavano tutti i numeri uno (compreso Pirandello, i cui tormenti interiori gli si leggevano nel volto, e uno sconosciuto Moravia, che si metteva lì in un cantuccio e scriveva, di nascosto dai genitori, Gli indifferenti).
Poi arrivò l’infatuazione per il cinema sonoro agli albori e Carlo Ludovico, con l’esordio O la borsa o la vita pregno di umori avanguardisti, sembrava destinato a un avvenire autoriale. Invece poi, avendo diretto 65 pellicole in trent’anni, la qualità complessiva ne ha risentito. Lui per primo se ne doleva, anche se prevaleva la gioia di avere avuto, come partner di lavoro, attori superbi quali Vittorio De Sica e i De Filippo, dive dal temperamento tipo Silvana Pampanini e Giovanna Ralli e intellettuali della stazza di Cesare Zavattini e Achille Campanile. C’era anche, nell’album dei ricordi, un Fellini ragazzino costretto a deglutire gli insulti pesanti di Aldo Fabrizi, incline a considerare a stregua di fregnacce le fantasie del riminese; c’era l’Anna Magnani preneorealistica di La vita è bella, che già mostrava una grinta prodromica, e pure Roberto Rossellini all’apice della fama, il quale prima lo sedusse proponendogli una società di produzione e poi, d’emblée, lo abbandonò.
Lo rammaricava la sparizione del film La fossa degli angeli, tra i suoi più riusciti: non ci è dato più vederlo però, con l’ausilio di molte foto di scena ripescate, il libro ce lo riconsegna a mo’ di fotoromanzo, coi visi intensi di Nazzari e Ferida a parlarci ancora.
Essendo sopravvissuto per un pelo alla morte durante la Grande Guerra, Carletto Bragaglia definiva il se stesso scampato alle ferite come Il resto del Carlino. Con quel «resto», ossia la creatività vivace nemmeno lambita dalle bombe, ha avanzato spedito fino a 103 anni.