la Repubblica, 25 aprile 2023
Il ritorno alla fede dei giovani americani
I giovani americani stanno riscoprendo la fede, o comunque la convinzione che esista un potere superiore all’uomo. Però lo fanno a modo loro, spesso cercando la trascendenza fuori dalle istituzioni religiose tradizionali. Il motivo sta soprattutto nello smarrimento e nella debolezza avvertiti a causa della pandemia di Covid, che ha scosso le certezze materiali con cui erano cresciuti. Quindi resta da vedere quanto durerà il fenomeno e quale effetto pratico avrà sull’evoluzione della società, o magari anche della politica americana. È il risultato per certi versi sorprendente di uno studio dello Springtide Research Institute e rilanciato dal Wall Street Journal.
Gli Usa affondano le radici nel viaggio dei pellegrini scappati alle persecuzioni religiose europee, e quindi la fede è sempre stata al centro di questo esperimento.Anzi, ha contribuito ad alimentare il mito di essere “il villaggio splendente in cima alla collina”, proprio per un’interpretazione diversa rispetto alle violenze che avevano dominato il Vecchio continente e anche il suo rapporto con l’Islam. A questo, o forse per questo, nel corso dei decenni si sono aggiunte interpretazioni radicali delle scritture, mentre il razzismo, che ha finito inevitabilmente per avere una parte rilevante nella cultura di un paese multietnico, e in origine costruito sulla soppressione degli indigeni e l’uso degli schiavi, si è colorato in alcuni casi di sfumature religiose. Basti pensare a quando la gente si chiedeva se il primo presidente cattolico Kennedy sarebbe stato più fedele a Washington o al Vaticano. Tutto ciò ha avuto un impatto evidente sulla politica Usa, dove solo quattro capi della Casa Bianca non hanno rivelato la loro affiliazione religiosa, ma forse non è stato mai tanto forte quanto negli ultimi anni. Non abbiamo la pretesa di considerarlo un campione sociologico affidabile della società americana, ma frequentando i comizi di Donald Trump durante le campagne presidenziali del 2016 e del 2020, abbiamo sempre incontrato seguaci che lo consideravano l’uomo inviato dalla Provvidenza per salvare il Paese dalla perdizione.
In generale la fede resta un fattore assai più rilevante negli Usa, rispetto alla secolare Europa, se è accurato il sondaggio pubblicato nel giugno scorso dalla Gallup, secondo cui l’81% degli americani crede in Dio. A guardare bene, però, questo è in realtà un dato allarmante, perché erano quasi il 100% alla fine degli anni Sessanta, e il 92% nel 2011. La nuova cifra rappresenta un calo di sei punti rispetto all’87% del 2017, ed è anche il livello più basso mai toccato. Il declino è forte soprattutto fra i giovani tra 18 e 29 anni, dove i credenti sono scesi al 68%, e tra i liberal, calati al 62%. Ciò aiuta a capire la “guerra culturale” che ormai domina il dibattito politico, perché il 92% dei repubblicani crede in Dio, contro il 72% dei democratici. Le differenze non riguardano più le scelte economiche o sociali, ma i cosiddetti “valori non negoziabili”, che come tali portano per definizione allo scontro frontale senza margini di compromesso.
Su questo sfondo complesso, arriva in controtendenza lo studio di Springtide che segnala invece una rimonta, notevole non in termini di numeri assoluti ma di ripresa di interesse verso la trascendenza: circa un terzo dei giovani tra 18 e 25 anni crede all’esistenza di un “potere superiore” all’uomo, contro la quota di circa un quarto del 2021. Una crescita in cui alcuni leggeranno l’annosa minaccia della fede modello supermercato, dove compri il prodotto che ti piace di più, ma lasci sullo scaffale quello che magari sarebbe più salutare, ma richiede sacrifici al palato. In fondo il governatore di New York Mario Cuomo era appassionato a Teilhard de Chardin, mentre la Speaker della Camera Pelosi rifiuta le bacchettate del vescovo Cordileone sull’aborto. Altrici leggeranno il rischio dell’estremismo incarnato storicamente negli Usa dai culti, dove qualcuno si arroga il diritto di diventare l’interprete personale della trascendenza, con conseguenze a volta anche sanguinose, come Waco o il massacro di “Jonestown”. Però se lo studio è corretto, si tratta comunque di un fenomeno da considerare.
I teologi sentiti dal Wall Street Journal , come Abigail Rusert del Princeton Theological Seminary, dicono di notare «un’apertura verso la trascendenza da parte dei giovani che non vedevamo da parecchio tempo». Il reverendo battista Darryl Roberts dice che «la pandemia, le rivolte razziali, la paura di perdere il lavoro e altre preoccupazioni economiche, hanno strappato gli strati protettivi da cui molti giovani si sentivano circondati. Non sentendosi più invincibili, alcuni si rivolgono a Dio per essere protetti». Se così fosse, uno potrebbe sospettare che si tratto dell’abituale ricorso alla religione come «oppio dei popoli». I tempi sono difficili, l’incertezza ci minaccia, il mondo traballa, non sappiamo spiegare o gestire cosa ci accade intorno, e quindi ci ricordiamo di Dio come ultima risorsa sempre disponibile. Se così fosse, quando i guai passeranno e la normalità tornerà ad affermarsi, anche il bisogno di trascendenza si affievolirà. Oppure no. Questa crisi ha cambiato per sempre la percezione del mondo dei giovani americani, riportandoli verso la fede. A modo loro però, magari anche per effetto degli scandali sugli abusi sessuali nella Chiesa, e con conseguenze tutte da scoprire.