La Stampa, 25 aprile 2023
Ferlaino parla dello scudetto del Napoli
Presidente, si può parlare di scudetto anche se manca ancora un ultimo pezzetto di strada? «Sì, certo che si può, senza tema di smentita. Sono uno dei pochi napoletani non scaramantici». Corrado Ferlaino risponde da casa («sono appena rientrato»): classe 1932, è stato per oltre un ventennio il presidente del Napoli. Anni che si tingono d’oro quando arriva Maradona: tra il 1984 e il 1991 nella bacheca entrano due scudetti contro il Milan degli olandesi, una Coppa Uefa, una Supercoppa italiana e una Coppa Italia.
Che differenza c’è tra i suoi successi e lo scudetto che la città ha cominciato a celebrare fragorosamente?
«È cambiato il calcio, oggi molte squadre sono gestite da gruppi finanziari e hanno rendimento altalenante, tipo le milanesi. Ai miei tempi eravamo noi e il Milan».
Come ha vissuto la vittoria sulla Juventus che di fatto ha chiuso il torneo?
«Ero emozionato e commosso. Non è una rivincita sociale, anche se molti nel nostro Paese ci considerano degli italiani di Serie B. Di sicuro abbiamo dimostrato di saper fare del buon calcio e di programmare bene».
La Juventus che impressione le ha fatto? Anche i bianconeri sono stati un avversario storico.
«È migliorata. All’andata ha perso cinque a uno, stavolta solo uno a zero».
Ricorda altri incroci decisivi in campionato?
«Sì, la vittoria per tre a uno nel vecchio Comunale. Era fine 1986 e un certo Maradona veniva dal trionfo mondiale in Messico, tra l’altro con quei due gol all’Inghilterra che sono entrati nella storia. L’avvocato Agnelli ci fece i complimenti. E di lì a sei mesi vincemmo il primo scudetto».
Ecco, parliamo un po’ di Maradona. Costo 15 miliardi di lire, quanto un mediocre panchinaro di oggi, ma allora era una cifra al limite dello scandalo. Quell’operazione cambiò la storia.
«Non mi sono mai innamorato, tranne che di Diego. C’è anche lui in questo scudetto».
In che senso?
«Il primo giugno andrò a Buenos Aires a fare visita alla tomba. Lo ringrazierò per le sue preghiere, perché so che lui dal cielo ha fatto il possibile perché si avverasse il sogno nello stadio a lui intitolato. So che qualcuno mi criticherà, ma lui va ringraziato per l’amore che ha nei confronti del Napoli».
Qualcuno che vorrebbe vedere a Napoli perché le ricorda Maradona?
«No, di Maradona ne è esistito uno solo in tutto l’universo».
Ci sono altri giocatori a cui è rimasto affezionato?
«Per me in squadra erano tutti uguali. Se parteggi per uno, gli altri se ne accorgono. Io pensavo ai risultati, a rinforzare la squadra, a curare i bilanci».
Nei momenti di festa, però, saltavano gli schemi.
«Abbiamo brindato insieme con parecchio champagne per celebrare i due scudetti. Io bevo poco, ma ancora sto male per l’alcol di quegli anni. Nell’87 non eravamo preparati a una gioia così grande. Pensi che fino all’ultima giornata era vietato pronunciare la parola scudetto».
E nel ’90?
«Sempre ugualmente belle le sensazioni, ma diverso il contesto. Avevo una nave a disposizione in cui poi ospitai giocatori, tecnici e dirigenti con i loro familiari. I fuochi di artificio visti dal Maschio Angioino furono uno spettacolo straordinario».
Respira l’atmosfera di trent’anni fa?
«Sì, vedendo 10 mila persone all’arrivo in aeroporto mi è venuto in mente il rientro da Stoccarda con la Coppa Uefa del 1989. Dopo lo scudetto, il primo trofeo internazionale».
Torniamo all’oggi: quanto le piace il Napoli di Spalletti?
«Bene ha fatto De Laurentiis a puntare su di lui, è il miglior tecnico del mondo. E la squadra ha 25 fuoriclasse».
Ha un portafortuna?
«Non ce l’ho perché non credo nella fortuna, ma nella bravura. Sono uno dei pochi napoletani che dà più peso ai meriti che alla sorte».
In che rapporti è con De Laurentiis?
«Ottimi, anche se non lo sento da un po’. Mi ha invitato un paio di volte allo stadio e mi ha fatto piacere vedere di nuovo il Napoli accanto a lui dal vivo, invece che in tv. Io ho la tessera federale e posso entrare in qualunque stadio d’Italia, ma non la uso per il Maradona».
Un suo messaggio ai giocatori e ai tifosi?
«Sono meravigliosi, non c’è niente da aggiungere».
Che cosa fa quando non segue il Napoli?
«Lavoro molto con i miei figli. Cerco di insegnare loro a fare impresa. Da quando ho lasciato la presidenza del Napoli trent’anni fa, penso più al lavoro che al calcio».