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 2023  aprile 25 Martedì calendario

Biografia di Massimo Ceccherini raccontata da lui stesso

«M i sono fatto pure la doccia per quest’intervista, ho messo il telefono in carica. Ma io non ho tutte ’ste cose da dire», dice l’enigma Massimo Ceccherini. Uno spaccone, un uomo timido, insicuro e sincero fino alla crudeltà, un grullo toscano, un ciclone, come il film che lo rese celebre. Oppure, come dice il suo amico Leonardo Pieraccioni, «un vero artista, uno che non legge nemmeno i copioni».
Lei come si vede?
«Come posso rispondere a una domanda così? Se avessi la risposta non sarei tormentato da quando mi alzo fino a sera, sogni compresi. Vado avanti pieno di tormenti. Se uno parla male di me mi garba».
Pieraccioni ci ha detto che ora vive solo per il suo cane.
«Ne ho due, Leo non sa che ho anche Mina, abbandonata dalla figlia che aveva già mia moglie Elena. Il mio si chiama Lucio che mi è stato mandato da Dio in persona, era piccolo, pioveva, camminava per una specie di tangenziale a Roma. In quel periodo ero disperato, un mio amico, quello coi capelli rossi che nei tg appare sempre dietro le interviste ma non ricordo il nome, sapeva che cercavo un cane, l’ha raccolto e me l’ha dato. Lucio m’ha salvato la vita. L’amore che ho per lui batte tutti quelli che ho avuto, ci dormo insieme, anche Elena lo ama. Poi ho un pappagallo che quando mi sente parlare comincia a fischiare, e una tartaruga».
Anche da Elena sarà stato aiutato.
«Sì, ci mancherebbe. Quando mi ubriacavo era impossibile tenermi. Lei mi picchiava e fermava la bestia dentro di me. Picchia oggi picchia domani, il colpo di fulmine lo ebbi una notte. Ora ha cambiato lavoro all’ospedale di Prato, ma all’epoca la vedevo al mattino che si preparava indossando la divisa, dietro c’era scritto misericordia. E mi sono detto: Dio è arrivato. Ho avvertito la sua presenza. Devi essere pronto ad agguantare l’aiuto».
Beh, più che Dio ha visto la Madonna.
«Sono passati otto anni. Dalla bestia non si guarisce, però riesco a tenerla legata. Ho bisogno quasi sempre della presenza di Elena. Sono stato in Africa sul set di Matteo Garrone e mi son fatto mettere WhatsApp per poter fare le videochiamate a Elena e Lucio, perché non potevo portare il cane nel deserto».
Quel film, «Io Capitano», era previsto a Cannes.
«Penso che andrà a Venezia ma te lo dirà lui. I protagonisti sono due ragazzi senegalesi che intraprendono il viaggio per andare in Italia. Io il film l’ho scritto insieme con Matteo, non recito. Siamo amici, siamo simili su certe cose, abbiamo una complicità quasi sessuale, dico per dire. L’ho conosciuto nella fase buia, lui è uno che non si ferma alle apparenze. Mi aveva già chiamato per una piccola parte nel Racconto dei racconti. Non mi ha mollato come avrebbero fatto tutti. Poi mi richiamò per Pinocchio. Il provino fu in un posto sulla Tiburtina, ricordo una scaletta lunga, si arrivava in una casetta tra gli alberi. Matteo sembrava la mia fatina».
Come ha conosciuto Elena?
«Ma a chi vuoi che interessi come l’ho conosciuta. Ti dico che dopo la disperazione più profonda le cose mi sono arrivate come per magia».
E Leo Pieraccioni può dirlo come l’ha conosciuto?
«Facevo cabaret da giovanissimo con Alessandro Paci. Conobbi un impresario che si arrabattava, in ufficio aveva una foto di Leo che tiene in braccio Benigni, un po’ come Benigni aveva fatto con Berlinguer. L’impresario mi fece vedere un assegno per un contratto a Leo di 300 mila lire, chi l’aveva mai viste. Leo mi chiamò per un filmino amatoriale, io ero il santone che pregava in mezzo a un campo arato, lui mi guardava e ridevamo sotto un sole che picchiava. Rifacemmo quella scena trenta volte, presi l’insolazione. È sempre andata così. Mi richiamò per I laureati, per andare al provino non avevo nemmeno i soldi per il taxi, me li diede mio padre. Poi arrivò Il ciclone, nessuno di noi immaginava che successo sarebbe stato. C’erano le ballerine protagoniste, ma io ero fidanzato e non potei fare niente».
Le donne sembrano una sua ossessione.
«È tutta finzione, fa parte della mediocrità del mio talento. Vado sul facile, sul sesso. Io vengo dal bar di San Giusto, se da quel buco di osservatorio incontri Lorena Forteza e le altre...».
Cosa pensa la gente di lei?
«Mi accorgo per strada, anche se non esco quasi mai, che la gente mi vuol bene. È chiaro che sono in bilico. Ognuno pensa come gli pare. Ho debuttato a 25 anni, ho girato una cinquantina di film. Mi sono sempre mangiato tutti i soldi guadagnati. Ebbi un momento difficile all’Isola dei famosi, volevo vivere un’avventura sperduto nell’isolotto a pescare, la mia passione, anche se non mi ci vedevo lì. Avevo buone possibilità di vincere ma la vittoria non fa parte di me. Mi scappò la bestemmia che rovinò tutto e mi cacciarono. È una battaglia e un controsenso la mia vita. Mi capita di vedere uno che mi sta antipatico e vado ad amarlo, mentre se uno mi sta simpatico per troppo affetto rovino tutto. Batistuta, il calciatore della Fiorentina, lo amavo talmente che quando lo incontravo nei locali per troppo affetto diventavo fastidioso, lo vedevo che gli davo noia, lo abbracciavo dopo tanti bicchierini».
A Roma era un pesce fuor d’acqua?
«Mi schifava il giro di quelli che in tv sembrano tanti preti. Ma Roma l’ho amata subito. Era il paese dei balocchi di Pinocchio. Infatti sono diventato un asino. Quelli del cinema facevano feste nelle case e dopo Il ciclone ci arrivavo per qualche motivo. Mi sentivo schifato. Io nasco imbianchino col mi’ babbo, sai quando uno non è adatto, ecco. Io ero attratto dai locali notturni, il Jackye O’, quella roba lì. Ma questa non è un’intervista, è una seduta psichiatrica. Ci andai per davvero dallo psichiatra, gli parlavo dell’alcol, delle prostitute, dei locali. Alla fine mi chiese di uscire con me la sera».
Che bambino era?
«Ero marchiato già da piccolo. Una volta in gita scolastica mi tirai giù i pantaloni. Non sono arrivato alla terza media, Leo invece sì, ci sono foto di lui bambino che sembra Bambi. Io penso di essere uno molto buono, ma attratto dai vizi. Non è che non studiassi, ne combinavo di tutti i colori, arrivavo a un punto che mandavo tutto a puttane. Ora sai cosa sogno? Di andare in tv a Quarto Grado, di fare la pipì di nascosto sui divani dello studio, e poi col Dna gli esperti criminologi devono scoprire chi è stato».
Pieraccioni alla festa dei suoi 50 anni...
«Sì, l’ho letto l’articolo, mi ha pregato di non andare temendo che lo mettessi in imbarazzo con gli altri amici. Ero vittima della grappa, mi sdoppiavo e facevo casino. Lo capisco».
Senta, quella storia dello scherzo a Renzi...
«L’hanno un po’ infiocchettata, la storia dell’ortica sul suo sedere coi pantaloni tirati giù. È vera ma hanno esagerato nel raccontarla. Gli facemmo anche di peggio, subì il masa, quel grattino sulla testa che fa un sacco male. Lui non era ancora niente, non faceva politica. Ma non vorrei parlare di lui e di quelli come lui, con quel ghigno. Per capire la grandezza di Gino Strada e del giudice Falcone bastava osservarne lo sguardo. Invece in Renzi tutto incravattato, così come tanti altri in tv, penso alla nuova Isola dei famosi, penso a Ilary Blasi, Vladimir Luxuria, Enrico Papi, ecco vedi nei loro occhi la cattiveria, la spietatezza, quello gli leggi. Di me invece hanno ricordato soltanto la bestemmia».
Mica una cosa da poco.
«Mi vergognai, ne dissi una non cento. Con me si amplifica e amplifica. Nessuno per strada mi ha detto che avevo fatto schifo. È una cosa nella natura dei toscani. Sai chi mi confortò? Roberto Benigni. Mi disse che con la bestemmia ero più vicino a Dio. Mica ce l’hai con l’Onnipotente. Dio non lo pigli in giro, lui lo sa che lo ami ugualmente».
Lo psichiatra Alessio Meluzzi parlando di lei disse che la bestemmia è una preghiera al contrario.
«Proprio lui, un falso che non vi dico, mi chiamò al tempo del fattaccio. Mi passava i preti al telefono. Come se dovesse farmi un esorcismo. Mi leggeva pezzi della Bibbia, che tra l’altro conosco meglio di lui, ho un passato da Testimone di Geova, questo non l’avevo detto mai. Meluzzi voleva fare uno spettacolo con me, ma non capisce nulla del rapporto con Dio».
Come passa le giornate?
«Guardo molta tv nella mia casa sopra le colline di Pistoia. Ad Amici fanno cantare tre giovani disgraziati e non inventano nulla, usano belle canzoni, i giudici sulle poltroncine guadagnano un sacco di soldi, come gli autori. Gli unici che non guadagnano nulla sono i ragazzini da sbranare. Anche lì vedo tanti ghigni e occhi cattivi. A casa seguo i film, mi piace leggere il cast, vado a vedere se gli attori sono morti. Sono molto attratto dalla morte. Ho 57 anni, sono vecchio. Quando morirò dovrò litigare con Pieraccioni, quella scena del Ciclone con la bara aperta, dove voglio morire se non mi porto a letto nemmeno una ballerina, mi ha marchiato a vita. Per colpa sua mi farò cremare».
Ma da dove nasce la sua rabbia?
«Non lo so, posso dirti che la rabbia è la cosa che mi tiene vivo. Le marachelle le facevo fin da piccolo, mi piaceva rubare, nei supermercati entravo e scappavo. Mica ammazzavo nessuno. Quando nei furti stavo facendo il salto, incoraggiato da quelli più grandi di me, mi sono fermato. Ero davanti a un appartamento vuoto, qualcuno da lassù, ovvero Dio, mi fermò. Così ridiscesi le scale e me ne andai».
Cos’è per lei la volgarità?
«È una cosa che fa schifo e io non sono uno schifoso. Posso essere uno che non fa tanto ridere, ma non uno schifoso. Io poi ’sta parola, volgarità, non la uso proprio, credo sia la prima volta che la pronuncio, non so cosa vuol dire».
Lei è il Bukowski italiano, un poeta maledetto?
«In comune con lui ho soltanto l’alcol».