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 2023  aprile 25 Martedì calendario

La Cina consiglia ai laureati di fare gli ambulanti

Anni fa, l’allora ministra del Lavoro Elsa Fornero fece molto discutere in Italia sostenendo che i nostri ragazzi non debbono essere choosy, troppo esigenti, quando cercano un impiego. Bisogna accontentarsi di quello che offre il mercato e poi cercare di migliorare, diceva la professoressa del governo Monti.
Un appello (e rimprovero) simile viene fatto ora a Pechino ai giovani laureati cinesi. La seconda economia mondiale è alle prese con un problema grave nella fascia tra i 16 e i 24 anni: la disoccupazione è oltre il 19%. Molto più alta del tasso complessivo dei disoccupati, che nelle grandi città cinesi è intorno al 5%.
La Lega della gioventù comunista ha criticato i giovani diplomati e laureati, che quest’anno sono la bellezza di 11,6 milioni, e a quanto pare non vedono la difficile nuova realtà, dopo trent’anni e passa di crescita: «Bisogna che si tolgano la giacca, si rimbocchino le maniche e accettino di stringere bulloni in fabbrica o tornare a coltivare la terra».
Insomma, dopo aver giustamente investito molto nell’istruzione per garantire uno sviluppo di qualità, ora i pianificatori della potenza asiatica si lamentano perché chi ha studiato nutre aspettative esagerate sulla vita professionale e non vuole abbassarsi al lavoro manuale.
Meno aspettative
La Lega della gioventù comunista ha criticato
i neolaureati, giudicati troppo «schizzinosi»
La stampa statale è stata incaricata di propagandare il ritorno al sacrificio per battere la disoccupazione. La China Central Television (Cctv) ha trasmesso una lunga serie di interviste con laureati che hanno trovato soddisfazione economica in impieghi che non richiedono la loro qualifica accademica: ha fatto scalpore il caso di una giovane coppia dello Zhejiang che ha incorniciato il diploma e poi è scesa in strada con un banchetto per la vendita di tofu alla griglia e patate e dice di guadagnare 9 mila yuan a notte, circa 1.100 euro.
Sui social si è scatenata la polemica: «Se è così facile, anche i dirigenti della Lega della gioventù potrebbero lasciare le loro scrivanie e infilarsi la tuta blu». Qualcuno ha fatto i conti e contestato i dati della coppia di laureati-ambulanti: «Per guadagnare 9 mila yuan a notte, dovrebbero servire 1,6 clienti al minuto. Se fosse così facile, le nostre strade sarebbero piene di banchetti del tofu».
Pochi giorni dopo, in un’intervista a un giornale la coppia ha ammesso che gli incassi sono solo un terzo di quanto sbandierato dalla tv statale. Ma tenere aperta una bancarella di notte resta comunque una soluzione (almeno temporanea) alla mancanza di un posto adeguato agli anni di studio. L’economia cinese sta risalendo dalla crisi causata da tre anni di lockdown per la politica Covid Zero. Però, l’ascensore della mobilità sociale sembra essersi bloccato. Un sondaggio condotto a febbraio tra 50 mila colletti bianchi ha rilevato che circa il 47% teme di perdere il posto quest’anno. Quella dei venditori ambulanti è una grande tradizione cinese. Negli anni della grande crescita, le metropoli come Shanghai e Pechino avevano deciso di cancellarla, per mostrare al mondo strade circondate da grattacieli e libere da carretti e chioschi.
Nel 2020 il contrordine: l’allora premier Li Keqiang chiamò la stampa, andò a visitare un mercato all’aperto pieno di bancarelle e proclamò che le piccolissime attività commerciali di strada sono una «fonte importante di lavoro» e parte integrante della vita della società. Allora però, il premier non disse che anche i laureati avrebbero dovuto fare gli ambulanti.