Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  aprile 24 Lunedì calendario

DAGOREPORT! LA VERA STORIA DELLA GUERRA TRA LISSNER E LA DESTRA - LA GROTTESCA E AFFANNOSA RICERCA DI PIAZZARE FUORTES AL POSTO DEL SOVRINTENDENTE FRANCESE DEL SAN CARLO DI NAPOLI È L’ENNESIMO CAPITOLO DI DUE CHE NON SI POSSONO E NON SI VOGLIONO COMPRENDERE, MA SOLO FARSELA PAGARE – UOMO DI SINISTRA, CHIAMATO IN ITALIA ALLA SCALA DA  BERLUSCONI, MA DETESTATO DAI LEGHISTI LOMBARDI - LO SCONTRO CON IL ''CORRIERE'' DI DE BORTOLI SU PAOLO ISOTTA – MUTI CASSATO A NAPOLI - MA IL PEGGIO DOVEVA ANCORA VENIRE…. -

Così tanti errori tattici da ogni parte quanti quelli nella vicenda di spostare l’Ad della Rai (non il “presidente” come scrive Stephane Lissner nella sua lettera al ministro, errore), Carlo Fuortes, alla Scala, prima, o al San Carlo di Napoli, ora, raramente si sono visti. Alla Scala la situazione è congelata e nel prossimo Cda del 27 aprile l’argomento “affiancamento di un nuovo soprintendente” non é neanche lontanamente in agenda (si parlerà di bilancio e rinnovamento tecnologico). La battaglia del San Carlo, invece, ha radici lontane. Detto che Sangiuliano e Lissner sono antropologicamente agli antipodi, e che l’introduzione di una legge che vieti di rimanere sovrintendenti (o in altre cariche apicali) dopo i settant’anni mi sembra sbagliata, ma andrebbe consentito anche agli italiani poterlo restare e non solo agli stranieri (ora è così), vediamo perché Lissner, più dell’altro francese di sinistra Meyer, è ora nel mirino.

Lissner, francese con famiglia di origini ebraiche ungherese, forse, si stava preparando a una nuova vita: ennesima nuova compagna (giovane giornalista francese), bambino neonato, l’idea di una casa in Bretagna… Ma i modi non gli sono risultati accettabili anche perché c’è un enorme pregresso con, diciamo, il centrodestra italiano.

Lissner fu chiamato in Italia alla Scala dal plenipotenziario di Berlusconi, lo scomparso Bruno Ermolli, allora vicepresidente del teatro milanese mentre sindaco era Gabriele Albertini. Lissner era un uomo di sinistra, abbadiano, che chiamò a Milano l’ebreo dai cinque passaporti Daniel Barenboim, amico di Edward Said, lo storico palestinese-americano grande accusatore della cultura europea giudicata non politically- correct.

La Regione Lombardia, da sempre leghista, non vedeva di buon occhio Lissner. “La Repubblica”, specie con la Aspesi, lo adorava per la sua erre e il suo snobismo mentre con il “Corriere” si aprì una paradossale controversia. Circa a metà del suo mandato, Lissner prese la decisione di definire il critico del “Corriere della Sera”, il destrissimo allievo di Buscaroli, Paolo Isotta, “persona non grata”, rifiutandosi di ospitarlo in teatro.

Isotta aveva effettivamente richieste inaccettabili sull’ospitalità e teneva in sala comportamenti oltre ogni educazione (schiaffeggiò il critico dell’Unità, protestò a voce alta durante la direzione della prima donna in conduzione…). L’allora direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, con un passato tra i giovani comunisti prima di avvicinarsi ai Poteri Forti, detestava Isotta per i suoi modi e la sua protervia ma, con tipico gesuitismo, finse di abbracciare la causa dell’attacco alla Libertà di Stampa.

Protestò contro Lissner e gli mise contro, il “mutiamo” giornale milanese. L’élite abbadiana e di sinistra milanese (quella che oggi porta l’84enne notaio Piergaetano Marchetti a fare il presidente del Piccolo Teatro) rimase imbarazzata: da un lato detestava Isotta e anche Muti e, dall’altro, aveva in De Bortoli e Lissner due suoi uomini.

Lissner bene proseguì con giovani direttori (abbadiani) e portando nuovi registi di scuola berlinese antitradizionali ma, meno di un anno dopo una sua onerosissima riconferma (lo stipendio più alto per un soprintendente della Scala), liberandosi il posto all’Opera di Parigi, lo svelto Lissner tradì Ermolli: prese la valigia e se ne andò nella Ville Lumiere.

Raggiunti i limiti di età (quelli francesi, però!) in età nastasi-franceschiniana Lissner ritrovò casa in Italia, a Napoli, dove la soprintendete Rossana Purchia (pure invisa al critico Paolo Isotta) aveva, a sua volta, raggiunto i 65 anni: solo che la Purchia non poteva per legge continuare in un ruolo dirigenziale mentre Lissner sì.

Essendo direttore artistico di gran talento, pur senza conoscere granché la musica, Lissner realizzò begli spettacoli, sebbene i maligni riferissero che passasse molto tempo in un circolo esclusivo a prendere il sole. L’abbadiano Lissner, però, decise subito di cancellare dal cartellone il “Don Giovanni” dell’apulo-napoletano Riccardo Muti (già previsto dalla Purchia), ritenuto a torto o ragione uno dei pochi “intellettuali” italiani non di sinistra (forse per le tendenze autarchiche). Che Muti possa non serbare rancore per un tale atto lo lascio pensare a chi non conosce Muti.

Ma il peggio doveva ancora venire. Per il 26 novembre 2022 Lissner aveva previsto l’inaugurazione della stagione con un “Don Carlo” veramente di altissima qualità, che da anni non se ne vedeva a Napoli. Causa il dramma di Ischia, anziché andare in scena e scegliere di destinare i fondi all’isola, il ministro Sangiuliano spinse per l’annullamento dello spettacolo.

Direi un errore. Lissner, che aveva a lungo lavorato sullo spettacolo, rimase delusissimo e, forse, prese in considerazione di lasciare. Ma poi si proseguì fino ad oggi, dove il centrodestra alla grottesca e affannosa ricerca di piazzare Fuortes si scontra, ancora una volta, dal francese dagli occhi di ghiaccio.

Sostanzialmente, la storia di Lissner e del centrodestra italiano è storia di due che non si possono e non si vogliono comprendere, ma solo farsela pagare. Diamo atto che nella banalità della politica culturale italiana degli ultimi decenni almeno questa contesa è stata vera e interessante.