Corriere della Sera, 24 aprile 2023
La Wagner avanza in Africa
Negli anni ‘80 le mummie del Cremlino usavano il contingente cubano e i loro «consiglieri» per appoggiare regimi amici in Africa. Oggi Vladimir Putin dispone della compagnia di sicurezza Wagner, impegnata da tempo in un grande «safari».
Nuovi documenti segreti del Pentagono messi in rete confermano quanto visto in questi ultimi anni. Mosca – sottolineano le indiscrezioni rilanciate dal Washington Post – si è mossa per piazzare sue basi, ha dato il suo supporto ad eserciti africani, ha manovrato per creare una coalizione anti-occidentale. Un obiettivo ampliato dopo l’invasione dell’Ucraina, con missioni a ripetizione, ricerca di sponde diplomatiche – vedi il Sudafrica – promesse e aiuti. Sono una dozzina i Paesi dove i miliziani di Prigozhin agiscono – o provano a farlo – con presenze di consistenza diversa. Hanno messo radici in Libia al fianco del generale Haftar, «signore» della Cirenaica, zona diventata un avamposto formidabile, utile per proiezioni oltre i confini libici. Sono corsi in Mozambico, però le hanno «buscate» con perdite. È andata meglio in Mali e Centrafrica, due Paesi dove la «ditta» ha conquistato posizioni sfruttando gli errori storici della Francia (e il suo ritiro), il risentimento verso l’ex colonia, la grave situazione socio-economica.
I russi hanno cavalcato alla grande un momento favorevole. Il modello di Prigozhin è portato avanti per fasi. La prima: avviano contatti, trovano agganci nelle gerarchie. La seconda: inviano mercenari, allargano il network di conoscenze, puntellano le forze di sicurezza incapaci nel tenere testa a jihadisti e guerriglie. La terza: la stabilizzazione, con il focus sull’economia. La quarta: intensa azione di propaganda, con diffusione di fake news, manipolazioni.
In Sudan hanno stretto un buon rapporto con le milizie del generale Mohamed Dagalo, però hanno anche preservato i rapporti con il potere centrale incarnato dal generale Abdel Fattah Al Burhan. La Russia punta ad ottenere una base sul Mar Rosso – c’è un accordo di principio – ed è interessata al traffico d’oro gestito proprio da Dagalo, appoggiato a sua volta dagli Emirati Arabi, monarchia che si intende alla grande con il Cremlino. Secondo gli osservatori i russi sono piuttosto cauti nella crisi sudanese, non vogliono sbilanciarsi più di tanto e bruciare i ponti. L’Africa non è facile neppure per loro. Nello scacchiere maliano le formazioni qaediste sono all’offensiva e anche di recente hanno registrato successi e sono emerse denunce su massacri di civili compiuti dalla Wagner. In Centrafrica, l’altro pilastro dove traggono vantaggi dalle miniere, la «compagnia» ha spinto indietro i ribelli, tuttavia restano i pericoli documentati dalla strage di tecnici cinesi.
Washington, solo negli ultimi tempi, ha dato vita ad una contro-strategia. Il capo della Cia ha visitato la regione, ha esercitato pressioni sollecitando la cooperazione di vecchi partner. In un’occasione – sempre secondo le carte top secret – ha organizzato un’operazione coperta per distruggere un velivolo della Wagner in Libia. Anche gli americani sono presenti nel continente, specie in chiave anti-terrorismo con droni, ricognitori e commandos. Hanno il Comando Africa basato però a Stoccarda perché nessuno Stato lo ha voluto ospitare. E questo dice molto.
Più in generale gli investimenti statunitensi e l’attenzione sono inferiori rispetto a quelli dei concorrenti, cinesi in particolare. Le priorità, è chiaro, sono altre. Parigi, dopo aver dominato per decenni, è in ripiegamento. Lasciato il Mali, è stata messa alla porta in Burkina Faso, altro «attore» corteggiato dai russi. Adesso teme per il Ciad e, stando alle carte riservate, è pronta a colpire se il pendolo dovesse spostarsi in favore di Mosca. Girano voci di rischio golpe. Da buoni opportunisti a Mosca aspettano.
La nuova guerra fredda passa per le terre calde.