Corriere della Sera, 24 aprile 2023
L’ultimo giorno di Goebbels
Tra il suicidio di Adolf Hitler e il conferimento dei poteri all’ammiraglio Karl Dönitz, l’uomo che l’8 maggio del 1945 avrebbe firmato la resa nazista, la Germania ebbe un governo guidato da Joseph Goebbels. Un governo che ebbe brevissima durata, poco più di un giorno: dal pomeriggio del 30 aprile quando Hitler si uccise (tra le 15.15 e le 15.30), alla sera del 1° maggio quando Goebbels si suicidò assieme alla moglie, Magda, dopo aver avvelenato con una capsula di cianuro i suoi sei figli. Quasi sempre i libri di storia trascurano quella giornata. La trascurano nonostante nel corso di quella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 1945 i successori di Hitler abbiano tentato una mediazione in extremis con i sovietici meritevole di una qualche attenzione. Ed è a questo tentativo di patteggiamento che Giovanni Mari dedica un’accurata ricostruzione, Il governo Goebbels. Trenta ore di morte e menzogne, in uscita il 27 aprile per Lindau.
Nelle intenzioni del Führer, il suo successore avrebbe dovuto essere Hermann Göring. Ma una settimana prima di darsi la morte, Hitler, in un accesso d’ira, accusò Göring e Heinrich Himmler di «alto tradimento» per aver trattato sottobanco la resa con gli angloamericani. E li espulse dal partito. Poi, con un’ordinanza specifica, predispose la propria successione con un atto che prevedeva Karl Dönitz alla presidenza del Reich mantenendo il comando supremo delle forze armate, l’ex ministro della propaganda Goebbels a capo del governo e Martin Bormann «ministro del partito» (un incarico equivalente a quello di segretario, ma con un ruolo subalterno a quello del cancelliere). Hitler stilò anche una dettagliata lista di ministri. Così facendo il dittatore nazista sdoppiò le cariche di capo dello Stato e cancelliere che lui stesso aveva unificato, con una forzatura, nel 1934. Nella letteratura «anche di alto livello» scrive Mari, «e talvolta persino in quella accademica», si indica il «governo Dönitz» come l’entità succeduta alla dittatura hitleriana. Errore. Grave errore. Si dovrebbe invece parlare di «governo Goebbels», anche se durò soltanto una trentina di ore. E non è una questione di dettaglio. Come ben si intuiva già da tre libri: La disfatta. Gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich di Joachim Fest (Garzanti); La fine del Terzo Reich di Ian Kershaw (Bompiani); Goebbels: una biografia di Peter Longerich (Einaudi).
Goebbels, infatti, appena si insediò al posto di Hitler, avviò, tramite il capo di stato maggiore Hans Krebs, trattative per concedere a Stalin – alle cui truppe mancava solo un giorno o due per espugnare completamente Berlino – qualche ora di ulteriore vantaggio sugli angloamericani. In cambio sperava di ottenere un riconoscimento, un attestato di legittimità, nonché – ma questo è più controverso – l’attenuazione del dispositivo di una resa che lui stesso forse considerava ormai quasi inevitabile. In quel momento Dönitz, trovandosi altrove, non sapeva né della morte del Führer né di essere stato designato da Hitler suo successore. Goebbels era padrone assoluto e – come tutti – si accendeva nervosamente sigari e sigarette nelle stanze del bunker hitleriano in cui fino a pochi momenti prima era tassativamente vietato fumare. Giunsero, la sera del 30 aprile, il capo della Gestapo Heinrich Müller e il pilota Hans Baur al quale – come riferiscono Uwe Bahnsen e James O’Donnell in Il bunker di Hitler. Reportage sulla fine della cancelleria del Reich (Pgreco) – Goebbels si rivolse con queste parole: «Hitler è di là che brucia; si è sparato alla tempia ed è caduto sul pavimento». Era evidente in ognuno dei presenti, a cominciare dallo stesso Goebbels, uno stato di alterazione.
Bormann cercava ancora una via di fuga per sé stesso. Goebbels no. Si capì immediatamente che, ove mai non fosse riuscito a trattare con i russi (causa che perorava già dal 1943), Goebbels si sarebbe suicidato all’istante. E forse anche se fosse riuscito a intavolare quella trattativa. Il generale Krebs era l’uomo adatto per la disperata missione dell’ultima ora: aveva vissuto a Mosca, come primo assistente dell’addetto militare del Reich in Unione Sovietica, e parlava bene il russo. Aveva anche incontrato Stalin. All’incontro fu convocato il generale Helmuth Weidling il quale, a riprova che era l’unico ad avere ancora un qualche senso della realtà, sostenne che difficilmente i russi avrebbero accettato di negoziare con un governo in cui il maggiore esponente del nazionalsocialismo (Goebbels) ricopriva la carica di cancelliere. Goebbels, racconta Mari, si offese «enormemente» e «servì l’intervento di Krebs per placarlo». Fu accolta da tutti la proposta di trasmettere un messaggio radio in chiaro così che il quartier generale russo potesse intercettarlo con estrema facilità. Questo messaggio – come ha raccontato Andrew Tully in Le ultime ore di Berlino (Longanesi) – conteneva la richiesta di un incontro con il capo supremo dell’Armata rossa il maresciallo Georgij Žukov. Il quale Žukov, per certi versi inaspettatamente, disse di sì. E delegò il generale Vasilij Ivanovic Ciuikov ad occuparsi della trattativa.
A questo punto i tedeschi scelsero un ufficiale, Ernst Seifert, perché stabilisse il contatto preliminare con il comandante del IV corpo d’armata sovietico, generale Vasily Glasunov. Scopo di quel contatto era quello di predisporre l’incontro con Krebs. Glasunov chiamò Ciuikov, che era a cena con amici nella palazzina occupata dall’Alto comando all’aeroporto Tempelhof. Ciuikov autorizzò addirittura un momentaneo cessate il fuoco per rendere possibile lo spostamento di Krebs. Dönitz, che non aveva più visto il Führer dal 21 aprile, come si è detto in quel momento non era neanche a conoscenza del fatto che Hitler era morto e quando saprà di essere stato designato da Hitler presidente del Reich sarà alquanto sorpreso delle contemporanee nomine di Goebbels e di Bormann. Le respingerà e addirittura ordinerà l’arresto dei due.
E siamo al faccia a faccia Krebs-Ciuikov. I russi chiesero al generale tedesco di consegnare la pistola. Ma Krebs rifiutò invocando il codice non scritto sul «comportamento del soldato coraggioso durante le trattative». Un colonnello russo – ricostruiscono Jean-Cristophe Brisard e Lana Parshina in L’ultimo mistero di Hitler (Ponte alle Grazie) – lo prese a male parole e minacciò di strappargli l’arma con la forza: dovettero «intervenire in molti per evitare che si passasse alle mani». Alla fine, Krebs e Ciuikov poterono incontrarsi. Quest’ultimo stava cenando con lo scrittore Vsevolod Višnevskij (che avrebbe trascritto l’intero dialogo tra il generale russo e quello tedesco), un giornalista della «Pravda», Evgenij Dolmatovskij, e il compositore Matvej Blanter che – come ricostruito da Antony Beevor in Berlino 1945 (Bur) – provò ad ascoltare la conversazione di nascosto sistemandosi all’interno di un armadio. Poi però ebbe un mancamento e si fece scoprire, provocando tra i convenuti un certo imbarazzo.
Krebs diede al generale russo la notizia che Hitler si era suicidato e che i poteri erano passati a Dönitz e a Goebbels. Ciuikov finse di esserne già a conoscenza. A quel punto il tedesco chiese una tregua per consentire una riunione del nuovo governo. Il russo rispose che prima gli eredi di Hitler avrebbero dovuto arrendersi. La stessa risposta che Eisenhower aveva dato a Himmler. Ciuikov racconta nelle sue memorie — La fine del Terzo Reich (Baldini e Castoldi) – che Krebs provò a insistere: dateci «la possibilità di iniziare relazioni con il governo sovietico», così l’Urss risulterà «lo Stato che ha vinto la guerra». Aggiungendo: «Non mi trovo nelle condizioni di iniziare altre trattative».
I termini della questione vengono sottoposti a Žukov che a sua volta, alle cinque del mattino del 1° maggio, con un fonogramma li riporta a Stalin. Il quale però si interessa solo alla parte della comunicazione che riferisce dell’avvenuto suicidio di Hitler. «Ha avuto quel che si meritava, il mascalzone», è il commento del dittatore georgiano, «peccato che non siamo riusciti a prenderlo vivo». A questo punto l’incontro potrebbe dirsi del tutto infruttuoso se i russi a sorpresa non proponessero di stabilire una linea telefonica diretta tra loro e il quartier generale di Goebbels. Krebs accetta dal momento che anche Goebbels gli aveva detto che avrebbe apprezzato la possibilità di comunicare di persona con i russi.
Allestire quella linea telefonica fu complicato ma la conversazione ci fu, a mezzogiorno del 1°maggio. Da un capo del filo c’era Krebs che era restato con i russi, dall’altra Goebbels. Questi, quando capì che la trattativa non aveva fatto nessun passo avanti, chiese di poter parlare direttamente con Ciuikov che prese in mano la cornetta e maltrattò platealmente l’interlocutore. Goebbels scoraggiato chiese a Krebs di rientrare per poter esaminare con lui, istante per istante, parola per parola, come erano andati i colloqui.
Ma qui ci fu una sorpresa. I sovietici decisero di offrire ai tedeschi quella che giustamente Mari definisce «un’ultima inattesa e clamorosa possibilità». In cambio della capitolazione di Berlino, i russi sarebbero stati disposti ad agevolare l’annuncio pubblico del nuovo governo, mettendo anche a disposizione una stazione radio ed eventualmente un’auto o un aereo per stabilire il contatto con Dönitz. L’obiettivo dei sovietici – ai quali, ricordiamolo, mancava pochissimo per far capitolare definitivamente Berlino – era, secondo Mari, «ottenere nelle loro mani una resa pesante dei nazisti, la prima ufficiale da parte dell’alto comando, per di più nella capitale del Reich». Un segno di vittoria «immenso, in anticipo rispetto ai tempi previsti, in netto vantaggio sugli angloamericani e persino nel giorno del Primo maggio, la storica data della Festa dei Lavoratori sentitissima e celebratissima in Urss».
I tedeschi avrebbero ottenuto quello a cui Goebbels più teneva, un pieno riconoscimento del suo governo. Ma ancor prima che Krebs potesse tornare al comando tedesco – inizialmente a bordo di un carro armato sovietico, poi a piedi – Goebbels iniziò a preparare il suicidio suo e dei suoi familiari. Evidentemente, scrive Mari, «non si rese conto dell’alto valore politico delle contropartite». Di più, quando Krebs si presentò al suo cospetto non gli risparmiò «ingenerose critiche» accusandolo di non essersi prodigato «abbastanza per mettere Ciuikov di fronte a un aut aut». E di avergli fatto «promesse non concordate». Accuse deliranti. Intervenne il generale Weidling dichiarandosi favorevole alle condizioni poste dai russi giudicandole – come notarono Anthony Read e David Fisher in La caduta di Berlino. L’ultimo atto del Terzo Reich (Mondadori) – «adeguate». Ma Goebbels rispose: «Le prossime poche ore che mi restano da vivere da cancelliere del Reich non le sprecherò per sottoscrivere un atto di capitolazione». Poi diede la morte a sé e ai suoi familiari, scrive Mari, «senza che nessuno avesse saputo del suo cancellierato». Un governo che – anche per questa accelerazione di Goebbels nel darsi la morte – «la storia dimenticherà».
Nella notte tra il 1°e il 2 maggio l’intero apparato nazista crollò. E con esso la città di Berlino. Quella stessa notte Krebs si uccise (ma sulla sua morte c’era qualcosa che non tornava quantomeno nei resoconti dei soldati sovietici). Le numerose carte che avrebbero potuto costituire gli atti del pur brevissimo «governo Goebbels» furono bruciate. Bormann provò a fuggire e fu ucciso. Il suo cadavere fu ritrovato solo nel 1973. Era stato colpito in maniera «compromettente e non medicabile». Poi, per non cadere in mano ai nemici, aveva ingerito una capsula di cianuro. Al generale Weidling spetterà la firma della capitolazione di Berlino. Preso in consegna dai sovietici, Weidling verrà condannato nel 1952 a venticinque anni di reclusione. Morirà in prigione nel 1955.
Toccò invece a Dönitz – nei panni di capo dello Stato di Flensburg (un piccolo territorio tedesco al confine danese) – firmare la resa finale. Da quell’istante l’impegno di Dönitz fu quello di far arrendere i suoi connazionali nelle mani degli statunitensi e non dei sovietici. Fu arrestato il 23 maggio e successivamente processato a Norimberga. Nonostante si fosse macchiato di gravissimi crimini di guerra, fu condannato a soli dieci anni che trascorse nel carcere di Spandau a Berlino Ovest. Uscito di prigione sopravvisse, libero, fino al 1980. Morì di morte naturale trentacinque anni dopo il suicidio di Goebbels.