il Giornale, 24 aprile 2023
Intervista a Fabio Capello
Fabio Capello con la storia ha sempre avuto un rapporto molto intimo: spesso l’ha scritta da protagonista in campo, in alcuni casi ne ha addirittura cambiato il corso. Una di questa la visse con la maglia della Roma: siamo nella stagione 1969-70 e i giallorossi sono in semifinale di Coppa delle Coppe contro il Gornik Zabrze, dopo aver sconfitto nell’ordine l’Ards di Belfast, il PSV Eindhoven (grazie al lancio della monetina! Uscì testa) ed il Goztepe di Smirne.
Questa è la storia di un altro calcio, nel quale i giocatori non erano a conoscenza di alcuni regolamenti, e come detto, dove la TV non aiutava certo con due colori che appiattivano tutto e che mandò a dormire molti tifosi della Roma convinti di essersi qualificati per la finale.
Capello da dove cominciamo?
«Da Helenio Herrera, allenatore di quella bellissima Roma. Un precursore, uno stimolatore pazzesco, uno che stava una spanna sopra tutti: il migliore che abbia mai avuto».
Già pregustavate la finale di Vienna di quella Coppa delle Coppe 1970:
«Non era facile giocare contro le squadre dell’est in quel periodo. Squadre toste e pubblico pazzesco. Le vuvuzela di oggi sono nulla rispetto alle 100.000 trombette che trovammo al ritorno».
Una semifinale apparentemente facile eppure non bastarono 3 partite?
«All’andata a Roma pareggiammo 1-1. Poi nell’incandescente atmosfera del ritorno segnai io il gol dell’1-0 e giocammo una gran partita fino al 90°, quando per un fallo di Spinosi che era fuori area fu assegnato un rigore in maniera assolutamente ingiusta. Ricordo che i giocatori del Gornik portarono di peso l’arbitro verso il dischetto. Andammo ai supplementari sull’1-1 e subimmo il 2-1 da parte del loro Lubansky. Poi a pochi minuti dalla fine segnò Scaratti il 2-2 e noi esultammo come matti al fischio finale perché eravamo tutti convinti che col gol in trasferta che valeva doppio fossimo qualificati. Ma c’era Herrera freddo a bordo campo: non ci aveva detto che il regolamento non assegnava la doppia valenza ai gol segnati nei supplementari».
La storia parla di tantissimi romanisti scesi in strada a festeggiare, di clacson, di bandiere e di esultanze stroncate dopo pochi minuti al diffondersi della notizia. C’è chi addirittura andò a dormire convinto che la Roma si fosse qualificata per la finale. Il regolamento cambiò l’anno dopo. E invece si arrivò alla bella.
«Si giocò a Strasburgo. Ancora una volta 1-1 con un mio gol».
E così risolse tutto una monetina.
«Pazzesco. Peirò, il nostro capitano, aveva già scelto testa nel fortunato lancio contro il PSV quando passammo il turno. Sempre testa aveva scelto azzeccando la decisione quando si doveva scegliere il campo ai supplementari e stava scegliendo logicamente testa quando arrivò Herrera e lo costrinse a dire croce».
La Coppa la vinse il Manchester City in finale contro il Gornik.
«Una delusione pazzesca. Rimanemmo senza parole. Mi sono sempre ritrovato in situazioni diciamo storiche. I calci di rigori furono introdotti pochi mesi dopo quella beffa di Strasburgo. Senza dimenticare che ero in campo da allenatore ai mondiali del Sudafrica nel 2010 quando Lampard segnò il bellissimo gol che nessuno vide contro la Germania e che portò alla goal line technology».
Tornando alla beffa col Gornik, molti tifosi della Roma andarono a dormire convinti della finale conquistata. Avevano visto una maglia scura esultare dopo il lancio della monetina. La maglia scura era sì della Roma, ma la indossava il portiere del Gornik che l’aveva poco prima scambiata con un giocatore della Roma. Potenza della TV in bianco e nero...