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 2023  aprile 24 Lunedì calendario

Intervista a Emiliano Toso

In cinquant’anni (è nato a Biella nel 1973), Emiliano Toso ha vissuto due vite; due vite diversissime, ma solo all’apparenza, perché la cosa più bella è come sia riuscito, a un certo punto, a farle incontrare. Ecco, Emiliano Toso è biologo cellulare, ha un PhD, ha diretto laboratori di ricerca internazionali. E poi Emiliano Toso è musicista, pianista e compositore, e gira palcoscenici in tutto il mondo per diffondere il suo progetto, la sua «Translational Music», ovvero: «un mare di cellule sotto un cielo di musica». Biologia e musica sono tutt’uno, questa è la melodia che Toso suona dal 2013: sono In armonia, come si intitola il suo libro, pubblicato da Mondadori, che racconta la sua esperienza e il suo desiderio continuo di integrare arte e scienza, anima e esperimenti, spirito e medicina... Infatti le sue musiche, per moltissime persone, significano benessere: tanto da essere utilizzate in sala operatoria (dove ha portato perfino il suo pianoforte a coda, una volta), per il recupero dai traumi, nei reparti Covid, per curare l’insonnia e come «anestetico naturale».
Emiliano Toso, come riesce a vivere le sue due vite?
«Sono nato con la musica nel sangue: da piccolo, quando passava la banda tremavo, e suonavo qualsiasi oggetto, anche i coperchi... Però per anni ho continuato a suonare in segreto, alla sera, da solo e con le cuffie, e non facevo sentire niente a nessuno».
E nel frattempo...
«Ho intrapreso una carriera da scienziato. Mi sono laureato a Torino, ho preso un dottorato in Biologia cellulare e mi sono occupato di andare in mondo analitico nel mondo del micro, quello delle nostre cellule. Ho amato moltissimo costruire i miei laboratori vicino a Torino e, per anni, ho vissuto questo aspetto totalmente esposto al giudizio».
E poi?
«E poi a quarant’anni ero direttore di quattro laboratori in un istituto di ricerca, stavo per diventare dirigente, ma alla sera suonavo il pianoforte, e suonavo una musica che non esisteva, per tradurre le mie emozioni. Così ho deciso di farmi un meraviglioso regalo di compleanno. L’idea mi è venuta sotto la doccia: un disco registrato con le mie canzoni preferite, composte in quegli anni, da donare agli invitati al mio quarantesimo compleanno».
Come è andata?
«C’è stata un’esplosione di sincronicità: l’universo e gli amici mi hanno dato tutti gli strumenti per fare un disco. E, velocemente, un passatempo ha iniziato a essere qualcosa di più: il biologo americano Bruce Lipton mi ha spinto a fare questo nella vita e ad aprire le sue conferenze. Così mi sono ritrovato a fare il mio primo concerto, davanti a settecento persone».
E che cosa succedeva?
«Succedeva che suonavo di qua e di là, e che le persone sentivano la mia musica poi mi dicevano di stare bene: ostetriche, malati di tumore, psicologi, maestri di yoga... Così ho lasciato il lavoro in laboratorio e mi sono dedicato a questa nuova missione, a piedi scalzi nel mondo, col pianoforte a coda, a suonare musica, a condividerla e a vedere gli effetti che produceva su cose e persone».
Il benessere di cui parla non è solo una sensazione: dipende proprio, spiega, da come siamo fatti noi e l’universo...
«Ci sono evidenze scientifiche di che cosa succeda alle cellule quando ascoltiamo certi tipi di musica. Così ho iniziato a occuparmi di questi studi, condotti sulle piante e sulle cellule, per vedere gli effetti dal punto di vista biochimico e biofisico».
Che studi sono?
«Quelli sonocitologici del prof Carlo Ventura, biologo molecolare all’Alma Mater di Bologna, con cui collaboro. Sono impressionanti. Studia il suono delle cellule: mette un microfono nelle cellule e sente come comunicano, come la musica riesca a cambiare lo stato delle nostre cellule e come, attraverso la musica, esse possano tornare in armonia».
Gli esperimenti lo mostrano?
«In laboratorio io avevo preso delle cellule indifferenziate di embrioni e, mettendo dei nutrienti, le avevo fatte differenziare in cellule cardiache; ecco, lui questo esperimento lo fa, in vitro, col suono. Senza usare elementi chimici. Fa ascoltare alle cellule embrionali dei suoni e le induce a diventare cellule cardiache. Sono esperimenti d’avanguardia».
Come nascono?
«È l’idea della medicina rigenerativa: proporre certi suoni alle cellule malate, o affette da patologie neurodegenerative, e farle tornare sane. Queste erano cose proibite da dire in laboratorio dieci anni fa...».
Quali cose?
«Che la musica aiuta a guarire. Oggi, grazie all’evoluzione tecnologica si possono spiegare, da scienziati, alcuni fenomeni che l’uomo aveva sempre intuito, come il potere della musica appunto: un potere enorme, in pace e in guerra, nel creare un senso di identità, nell’aggregazione, nel benessere...».
È questa l’integrazione, per lei?
«È il coraggio di unire questi due mondi: i medici che escono dal loro ruolo e chiamano i musicisti perché, sulla parte delle emozioni, hanno bisogno di aiuto. Collaboro con il Gemelli e La Sapienza per le terapie integrate: se il paziente è rilassato e lascia andare la paura, la cura funziona meglio. Poter integrare la medicina tradizionale con l’arte è importante, perché crea nuove possibilità di salute».
Ma le cellule suonano davvero?
«Lo faccio sentire nei miei laboratori... È bellissimo sentire che siamo fatti di musica, oltre che di fisica e di materia. Serve un microfono con punta atomica che, inserito nella cellula, amplifica i suoni che essa produce, e che sono udibili».
Come li produce?
«Sono prodotti dal citoscheletro: i citotuboli vibrano, come una ragnatela, e producono suoni. È come se l’intuito sposasse la matematica... E, utilizzando le frequenze giuste, si possono aiutare queste cellule a tornare in armonia. E poi c’è la firma vibrazionale».
Che cos’è?
«C’è la frequenza, che è una nota: somministro 256 hertz a una cellula e so che farà una certa cosa. Ed è importante, ma c’è qualcosa in più, che è la firma vibrazionale, ovvero come la cellula mette insieme quelle note, per produrre musica: si esprime, come attraverso delle melodie».
A proposito di frequenze, è vero che il suo pianoforte è accordato in modo particolare?
«Dal 1939, tutti gli strumenti sono accordati col La centrale e, di conseguenza, tutte le altre note, a 440 hertz. Io ho pensato di riproporre l’accordatura usata da Verdi, col La centrale a 432 hertz, il che significa riaccordare anche tutte le altre note».
Perché?
«È una differenza quasi impercettibile dall’orecchio umano ma, così, vengono generate frequenze più compatibili, dal punto di vista della risonanza, con quelle delle nostre cellule e della Terra stessa, la quale genera anch’essa un suono, un Do molto basso, non udibile, di 8 hertz. È dal ’700 che si è notato che questa accordatura a 432 hertz, detta scientific pitch, porta benefici a livello di salute, benessere, concentrazione e consapevolezza».
Come mai?
«Si passò all’accordatura ai 440 hertz quando serviva una musica per la guerra, per conquistare, e per vendere: una musica che ci portasse fuori da noi. Quella a 432 ci riporta dentro, nel silenzio, nella connessione e nella condivisione più che nell’esibizione».
Chi usa la sua musica come integrazione?
«Medici, ostetriche, maestri di yoga, artisti, studenti per la memoria e la concentrazione, insegnanti per creare situazioni più gestibili, case di riposo per i momenti più difficili come la vestizione o la nutrizione dei pazienti: in generale è uno strumento antistress e, dato che il 90 per cento delle malattie deriva dallo stress... Lavoro soprattutto col mondo della scuola e della sanità, ma ho suonato anche a Montecitorio».
Ha suonato in Parlamento?
«Non c’è una pianta, è tutto scuro. Ho portato la musica e la biologia, e quei valori che le nostre cellule ci possono comunicare: perché le cellule sono piccole comunità coi loro equilibri e le loro forme di comunicazione, da cui possiamo prendere spunto».
E in sala operatoria?
«Mi hanno invitato col mio pianoforte a coda, sia per aiutare la coesione del gruppo, dato che erano in sedici presenti, sia per la salute del bambino, durante e dopo l’intervento. E, benché fosse in anestesia totale, abbiamo verificato che il suo cervello riconosceva comunque la mia musica».
L’armonia, oltre che nelle melodie e nelle cellule, è anche nell’universo?
«Mi piace spiegare la scienza attraverso la musica. La cellula decide che spartito leggere per passare dall’informazione alla materia: ho capito che la biologia è musica, e che la musica è matematica che prende vita».