Domenicale, 23 aprile 2023
Metti insieme Tomasi di Lampedusa e da Alessandra Wolff von Stomersee
La donna è alta, elegante: un sofisticato cappello le modella la testa, l’espressione del viso mostra una soddisfatta sicurezza, la figura è imponente e occupa lo spazio con determinazione, come se volesse espandervisi. Alle sue spalle un uomo la segue un passo indietro, leggermente proteso verso di lei, ma c’è qualcosa di incerto nella posizione del suo corpo: le spalle un po’ curve, le mani che si incrociano, sembra guardare con silenziosa ammirazione l’ampia signora che lo precede. Così appaiono Giuseppe Tomasi di Lampedusa e sua moglie, la baronessa Alessandra Wolff von Stomersee, in una delle suggestive foto pubblicate in Un matrimonio epistolare, la storia dell’incontro e dell’unione tra i due attraverso le bizzarre lettere che si scambiarono lungo l’arco del loro bizzarro matrimonio, raccontato da Caterina Cardona in una avvincente costruzione di fatti e parole nel volume che ora Sellerio manda nuovamente in libreria, dopo molti decenni, in una diversa edizione arricchita di immagini e testi inediti, tra cui uno di Giorgio Manganelli.
Bizzarre le lettere e i loro autori perché, importante psicoanalista lei, una delle prime in Italia, autore (futuro) di un capolavoro come Il Gattopardo lui, nelle missive che scandiscono il loro legame poco, pochissimo spazio è riservato a psicoanalisi o letteratura. E invece in grande misura c’è una minuzia di stati d’animo e vita quotidiana, quella semplice comunione di piccoli e grandi eventi che i due, per ragioni di natura oggettiva ma anche molto soggettiva, non poterono spesso permettersi. Per questo, nella sapiente tessitura dell’autrice che si incunea tra una lettera e l’altra rivelando nessi e retroscena della relazione, Un matrimonio epistolare è anche uno studio di caratteri che, sembrerebbe, si sono potuti unire e stringere grazie non a somiglianze ma ad abissali diversità. Per dirla con Manganelli: una «singolarissima coppia», formata da un lui «colto, neghittoso, sentimentale, goloso, poliglotta e cinofilo» e da una lei che è «una sorta di regina boreale che ha per reggia un castello tedesco in terra di Lettonia». Una trama fiabesca che finisce invece un po’ dalle parti degli intrighi di Balzac, un po’ negli ammaliati paraggi delle storie di Luigi Capuana.
Il destino fa i suoi giochi: il torpido erede di una dinastia nobiliare, che conta troppi titoli per poterli sciorinare tutti, conosce, grazie a uno zio che ne sposa la madre vedova, la giovane baronessa Alessandra. Tutto in lei è grandioso: la genitrice, Alice Barbi, è stata una celebre cantante, persino accompagnata al pianoforte da Brahms, ed è sua proprietà di giovane ereditiera il vasto e altero maniero di famiglia in una terra di conquista tra Germania e Russia, che poi le sarà tolto con la seconda guerra dai sovietici. Anche lui alloggia in una splendida avita dimora, il palermitano Palazzo Lampedusa, nella stessa stanza in cui ha emesso i primi vagiti, accanto a quella dove l’adorata Mamà, in realtà l’austera e severa Beatrice Tasca dotata quanto il marito di una nutrita sfilza di antichi attributi nobiliari, l’ha partorito. A giudicare dalle lettere – che in gruppi separati seguono un arco che va dagli anni 30 agli anni 50 del Novecento – ad attrarli è tutta questa distanza: di paesaggi, di tradizioni, di mentalità. Una diversità affascinante, ma difficile da conciliare.
Alessandra a Palermo non va d’accordo con la suocera e la sua forte personalità non attrae l’alta società palermitana che, come Cardona spiega, tra le due guerre è sonnolenta e inerte a differenza dai primi rigogliosi anni del secolo. Eppure avrebbe tutte le caratteristiche per incuriosire: Licy, come il marito adorante la chiama, si è interessata precocemente alla nascente disciplina della psiche, è stata a Berlino e a Vienna, si è dedicata a studi e terapie, e in Italia è tra i fondatori della Spi, la società italiana di psicoanalisi. Dalle lettere sembra far fronte alla tenerezza un po’ infantile del marito coinvolgendolo nelle proprie avventure di studiosa degli spettri dell’anima – due in particolare tutt’altro che lievi: incesto e omicidio. Invece Giuseppe con infinita, languorosa dolcezza le racconta le sue giornate tutte uguali – la passeggiata, le commissioni, il circolo Bellini dove scandalizza gli amici che fanno la sua stessa vita con quelle che definisce, non precisandole, le sue «opinioni audaci». Uniche accensioni poetiche certe descrizioni di menù, certe tavole imbandite specie a casa dei cugini Piccolo, i parenti più stretti e più cari, che avranno un ruolo decisivo per la nascita del suo celebre libro. Infatti quando uno dei tre, Lucio, viene apprezzato per doti di poeta, Giuseppe, che come lui stesso dice vuole dimostrare di non essere «più fesso», si mette a scrivere il suo romanzo.
Ma se ci rivolgiamo ai misteri di quella psiche che la principessa Alessandra indaga con tanto accanimento, forse la nascita del Gattopardo non si deve alla gara col cugino. Nel 1943 Palazzo Lampedusa è bombardato, il santuario dei sacri ricordi ridotto in macerie, tre anni dopo Mamà muore. Significativamente il libro di Caterina Cardona si apre con una lettera del 1950, il racconto di un sogno, il materiale più prezioso della psicoanalisi, del marito alla moglie: Giuseppe è prigioniero, condannato a morte in una fortezza, ma riesce a fuggire e chiede al padre, che sta bevendo champagne, di informare la madre che ormai lui è in salvo, anzi come scrive «sicuro di essere scampato al pericolo». Dalla fuga dalle rovine del passato sta per nascere il grande libro.
La favola dei due ha un lieto fine a metà, perché Giuseppe scriverà il suo capolavoro, ma morirà, infine accudito da Licy, nel ’57, prima di vederlo pubblicato e dopo vari rifiuti editoriali che l’hanno amareggiato, ignaro della gloria che non solo il premio Strega del ’59 ma soprattutto i lettori di molte parti del mondo gli conferiranno.