Avvenire, 23 aprile 2023
Su Origene che si castrò
Con una pratica che molti oggi definirebbero barbarica – la si considera tale persino quando viene proposta in modo “chimico” sui rei di violenza contro le donne da qualche buontempone che pensa di risolvere alla radice il problema –, pare che nei primi anni del 200 dopo Cristo, quando già studiava nel Didaskaleion, la scuola catechetica d’Alessandria d’Egitto dov’era nato presumibilmente verso il 185 (i conti sono fatti su Eusebio di Cesarea), ecco pare che Origene abbia deciso di evirarsi. Se ne è discusso a lungo: a cominciare dal vescovo di Alessandria Demetrio che per questo (e per le idee) decise come si suol dire di “spretarlo”, sebbene nel Vangelo di Matteo 19,12 stia scritto: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
Origene era mosso dal fervore di una fede totale rispetto alla quale sentiva di aver poco tempo da dedicare a certe “distrazioni” umane. Esiste anche l’ipotesi, cosa che di solito non viene evocata, del pericolo di scandalo, come recita il Vangelo di Marco: «Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile». Idem per il piede e per l’occhio, e l’amputazione dovrebbe prevenire il rischio di dare scandalo ai semplici. In effetti nella Chiesa dei primi secoli ma anche in quella successiva si discusse molto sul nutrimento per i cristiani: il latte per i semplici, il vino per i sapienti o i perfetti sotto il profilo spirituale.
Che si sia davvero evirato, sulla pietra o con un ferro rovente, o come insinuava perfido un secolo dopo Epifanio di Salamina, usando qualche erba velenosa (ovvero, come pensa qualcun altro, si trattò di “taglio” in senso soltanto simbolico, non fu, del resto, il padre della esegesi allegorica delle scritture, Origene?), resta il fatto che fin dal soprannome, Adamànzio, il grande pensatore e omileta cristiano doveva essere appunto “d’acciaio” o “di diamante”. E anche molto consapevole fin da giovane se, quando le persecuzioni di Settimio Severo imperversarono e nel 202 il padre Leonida venne arrestato e torturato fino alla morte, Origene scrisse una lettera al genitore che lo aveva educato alla fede, affinché rimanesse saldo nella fede in Cristo fino alla fine, senza preoccuparsi della sua famiglia. Insomma, era una “esortazione al martirio” rivolta al padre. Non si sa se restare più basiti davanti alla forza con cui deve aver affrontato l’autocastrazione, oppure dalla fermezza con cui parlò al padre come un vero cristiano fortificandolo nella fede. Silvia Ronchey molti anni fa aveva definito l’atteggiamento di Origene, fino alla castrazione, “ascetismo estremi-sta”, che in termini cristiani implica una volontà di testimonianza radicale, di martirio appunto, come sequela di Cristo. Eusebio racconta che dopo l’arresto del padre, la madre dovette mettere in atto tutti i mezzi possibili per trattenerlo e l’unica cosa che riuscì a fermare Origene pare sia stata quella di nascondergli i vestiti a impedirgli di uscire di casa e denunciarsi ai persecutori come “testimone”.
Queste vicende origeniane, tra verità, storia e leggenda tramandata dalle fonti antiche, ci hanno portato al tema dell’ultimo volume edito da Città Nuova nell’ormai lungo corpus fin qui tradotto e commen-tato: l’Esortazione al martirio, che porta l’opera omnia di Origene a 20 numeri – ma non si deve dimenticare che Eusebio aveva contato oltre mille scritti, in gran parte perduti, di cui restano, però, il celeberrimo Contro Celso, e in greco solamente due testi, uno Sulla preghiera, numero 17 del corpus, e l’altro appunto l’Esortazione che vede ora l’edizione critica a cura di Clementina Mazzucco (col testo greco a fronte, pagine 214, euro 80). La-sciando sullo sfondo le questioni esegetiche che possono interessare gli studiosi, un testo come questo rappresenta una sfida non soltanto per l’autoconservazione, ma anche per la sensibilità dell’uomo contemporaneo, sia esso cristiano o meno. Quando si pensa al martirio oggi vengono in mente due situazioni opposte: quella dei cristiani perseguitati nel mondo (oltre cinquemila uccisi soltanto in Africa e l’80% in Nigeria), una parte solamente di quelli morti in Corea del Nord, Pakistan, Iran, India, Arabia Saudita. E la situazione opposta nelle ragioni, del terrorismo islamista dove invece i martiri rendono testimonianza immolandosi per uccidere altri.
Origene propone ai cristiani un secondo battesimo e li invita a dare prova di fede nel “battesimo del sangue”, che considera ben più vicino a Cristo di quello con l’acqua (o la luce). Il capitolo 42 dell’Esortazione si apre così: «Se, come sovrabbondano le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, sovrabbonda anche la consolazione, dobbiamo accogliere con grande fervore le sofferenze di Cristo; e (augurarci) che sovrabbondino in noi, se aspiriamo a una sovrabbondante consolazione, quella per cui tutti gli afflitti saranno consolati, ma probabilmente non in egual misura».
Sappiamo bene che può esistere un martirio anche senza persecuzione violenta, un martirio nella vita quotidiana accettato come fedeltà alla promessa di Cristo di salvezza laddove il male infierisce su di noi e ci mette alla prova con dolore, solitudine, abbandono, malattia. È un eroismo segreto. Ma esiste un martirio del sapersi nati in questo mondo senza essere del mondo: è quanto Origene sviluppa nei capitoli 43-44 dove invita a «sopportare tutto con pazienza, sapendo di essere incompresi». Essere testimoni implica la ricerca della purezza da “ogni tipo di peccato” e riferendosi alla Lettera agli Ebrei ricapitola così: «Avete sopportato una grande lotta di patimenti, talora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni, talvolta diventati solidali con coloro che venivano maltrattati in questo modo… Non abbandonate dunque la vostra ferma fiducia, che ha una grande ricompensa. Avete bisogni infatti (solo) di capacità di resistere». E a questo punto l’Alessandrino conclude: «Siamo infatti convinti di possedere beni migliori, non terreni, ma neppure corporei, bensì certi (beni) invisibili e incorporei», richiamando il credente alle cose eterne e non a quelle terrene. Qui emerge un leitmotiv di Origene, che in parte fu causa di alcune condanne del suo pensiero perché troppo condizionato dalla linea platonica (aveva studiato con Ammonio Sacca, di cui fu allievo anche Plotino) e proteso su una via per così dire gnostica dove «non si deve esitare a liberarci dal corpo per trovare riposo e luce in Cristo». Del resto, è millenaria la discussione anche nel cristianesimo sul corpo- prigione, che si allunga ancora fino a Pascal e, in definitiva, allo stesso esistenzialismo moderno in chiave agnostica. Nel capitolo 48 Origene conclude evocando la resistenza della casa cristiana alla tempesta (un tema più che mai attuale per la Chiesa di oggi): «Incombe infatti una tempesta che porta pioggia, fiumi (gonfi), venti o, come la chiama Luca, una piena; ma questi fenomeni, dopo aver travolto la casa, o non avranno la forza di scuoterla, e per questo la casa non cadrà, in quanto è fondata sulla roccia che è Cristo, oppure svelerà il cattivo stato dell’edificio, che a causa della situazione presente crollerà». Verso gli ultimi anni della sua vita l’Alessandrino stenderà il trattato
Contro Celso: siamo nel 246 e tre anni dopo Decio, con le sue persecuzioni, colpirà anche lui infliggendogli anche la tortura; verrà liberato e morirà di lì a poco per i postumi delle sofferenze patite. Origene aveva seguito per tutta la vita l’idea che il martirio fosse la strada che più avvicinava i cristiani a Cristo e scrivendo l’Esortazione si rivolge ai due destinatari, Ambrogio (un importante uomo d’Alessandria che egli aveva riportato nella Chiesa dopo l’eresia valentiniana) e Prototteto, ricordando loro che solo bevendo dal calice di Cristo il martire sarà accanto al re dei re.
Ma Origene non esime nessun credente da questa posizione e distingue due forme di martirio fra loro correlate: il martirio in pubblico, quello del perseguitato che subisce la prova del sangue, e il martirio segreto che nel cap. 21 paragona a una lotta, un combattimento. Se anche non subiremo il “battesimo di sangue”, il martirio di coscienza è però «il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza che ci siamo comportati nel mondo con la santità e la sincerità che vengono da Dio… è lui che conosce i segreti del nostro cuore». Va soltanto ricordato che per la dottrina cristiana il martirio non va né cercato né inseguito, ma accettato come ultima via di testimonianza. Di fronte alla crisi che il cristianesimo vive in molti paesi occidentali oggi, Origene quasi duemila anni fa mette in guardia verso il tradimento della testimonianza: «Qualora dalla sapienza della carne ci venga mai insinuata la paura dei giudici che ci minacciano la morte, allora dobbiamo dire loro queste parole dei Proverbi: Figlio, onora il Signore, e sarai forte; all’infuori di lui non temere altri». Estremista o meno, egli invita i credenti: estote parati. Siate pronti. Oggi è il momento della prova per i cristiani in vaste aree di persecuzione, ma ogni credente è in potenza martire, come testimonio conscientiae