la Repubblica, 23 aprile 2023
Demografia, il caso di Trento
ROMA – Ci sono sette territori in Italia dove l’inverno demografico potrebbe trasformarsi, nei prossimi dieci anni, in una (timida) primavera. Sono comuni e province del Nord e del Nord Est in cui l’alta qualità di servizi per l’infanzia, in particolare il numero dei nidi, fa ipotizzare una possibile inversione di tendenza rispetto alle culle vuote. È la proiezione controcorrente disegnata dalla Fondazione Openpolis sullo scenario demografico dell’Italia del 2030. Una fotografia che testimonia spopolamento e desertificazione soprattutto nelle aree giovanili: entro il 2030 l’Italia perderà un milione e trecentomila bambini e ragazzi. Il 17 per cento in meno di oggi, di cui l’8 per cento nella fascia sotto i 5 anni di età. Gli over 65 saranno invece due milioni in più.Non dappertutto però. Nelle provincie di Trieste, Trento, Gorizia, Savona, Imperia e Genova, tra il 2020 e il 2030, il numero dei nuovi bebè potrebbe aumentare del 2 per cento.Una proiezione che si basa sul concetto che nei territori dove l’offerta di servizi per l’infanzia è alta, raggiunge gli standard suggeriti dall’Europa, l’occupazione femminile supera la media nazionale, forse tutto questo renderà più semplice e desiderabile il mettere al mondo dei bambini. Ossia il cuore concreto di quel welfare al quale il governo dovrebbe ispirarsi, al contrario dell’oscillazione disordinata di promesse inattuate di defiscalizzazione per numero di figli e appelli a donne-fattrici in stile Ventennio. I dati elaborati da Openpolis su statistiche Istat e ministero dell’Istruzione, insieme all’Osservatorio # conibambini, dimostrano che quel welfare è possibile. Si può invertire la tendenza di un’Italia “childless”, soltanto se le città e i comuni diventano luoghi amici dell’infanzia e delle famiglie. E delle donne.Una strategia che però non si improvvisa. In 6 su 7 di quei territori dove potrebbero tornare a riempirsi le culle, già nel 2020 superavano la media nazionale nell’offerta di servizi socio-educativi per l’infanzia, cioè 27,2 posti ogni 100 bambini in quell’anno. «In particolare la provincia di Trieste, che con oltre 44 posti per 100 residenti sotto i 3 anni è oggi ai vertici della classifica nazionale» si legge nella ricerca. Quota che la avvicina al nuovo target europeo che ha fissato la copertura (minima)dei nidi d’infanzia non più al 33 per cento, come deciso a Lisbona nel 2000 ma al 45/50 per cento. Trieste è seguita da Trento dove il numero dei servizi supera da tempo la soglia di Lisbona, insieme a Genova e Gorizia mentre La Spezia e Savona restano attorno al 30 per cento.Ma di tutte queste città il laboratorio più interessante è Trento. Perché è qui che la demografia italiana ha la sua “capitale”, con un tasso di fecondità di 1,51 figli per donna, contro la media nazionale di 1,25. Bisogna segnalare infatti, al contrario, che in alcuni dei territori indicati da Openpolis come possibili per un incremento delle nascite, ad oggi, con l’eccezione di Gorizia, le culle sono ancora vuote. A Genova per esempio il tasso di fecondità è, soltanto, dell’1,21 figli per donna. Torneranno anche qui a nascere i bambini?«Noi veniamo da un impegno di vent’anni sulle politiche della famiglia, sono state un obiettivo primario», spiega Franco Ianeselli, sindaco di Trento, centrosinistra, che di recente ha “sfidato” il governo trascrivendo il certificato di nascita della figlia di due mamme. «L’offerta dei servizi per l’infanzia copre la totalità delle domande, la retta media, al netto del bonus Inps, è di circa 50 euro, metà delle famiglie è esentata. E c’è il sostegno dell’assegno unico provinciale per ogni figlio». Misure concrete. Avere i bambini al nido, con costi “umani” è dunque in Trentino una certezza. Questo non basterebbe però a tenere alta la natalità senza l’occupazione femminile, il 62,3 per cento contro il dato nazionale del 50,8 per cento. «I bambini nascono dove le donne lavorano, ci sono i nidi e le aziende applicano reali politiche di conciliazione. E dove c’è un impiego di risorse e di idee per incentivare il benessere delle famiglie». Tutte. Italiane e immigrate.Perché Trento, dice Ianeselli, è città multietnica e plurale. Così come i suoi, tanti, bambini.