il Giornale, 23 aprile 2023
Intervista a Paolo Pulici
Rievoca la scena e, un po’, gli viene da ridere: Puliciclone (copyright Gianni Brera, tanto per cambiare) battito perpetuo del cuore Toro, contro l’Avvocato consorte della Vecchia Signora. Una sfida a colpi di sottili battute tra Paolo Pulici e Gianni Agnelli, roba di mezzo secolo fa che però sembra ieri (beh, facciamo l’altroieri).
«Era un lunedì, noi del Toro avevano battuto nel derby la Juve come in quell’epoca avveniva quasi sempre – ci racconta Pulici -. Stavo passeggiando in via Roma, pieno centro. Incrocio Agnelli. Lui mi riconosce, allontana i guardaspalle e si fionda verso di me con la mano tesa: Complimenti Pulici, ieri ha fatto due splendidi gol. Le sono grato. E io: Scusi, ma da quando tifa Toro?. L’Avvocato: No, tifo Juve. Ma, grazie alle sue reti, gli operai Fiat che oggi avevano indetto uno sciopero, lo hanno annullato; e sa perché? Solo per il gusto di venire in fabbrica a sfottermi. La Juve ha perso il derby, ma la Fiat ha vinto un giorno di lavoro».
Di Agnelli sappiamo tanto, di Pulici ricordiamo due caratteristiche: centravanti implacabile (172 gol con la maglia del Torino, primatista dei marcatori del club granata di tutti i tempi) e uomo leale. Attorno a questi pilastri Paolo ha costruito una carriera epica, divenendo la bandiera della generazione post Superga.
Claudio Sala dice che tu, più che un testimone dello scudetto del ’76, assomigli a un «sopravvissuto» del Grande Torino del ’49.
«È un complimento bellissimo. Io che il 27 aprile compierò 73 anni e lui che l’8 settembre ne farà 76, siamo cresciuti all’ombra di quegli idoli, sempre vivi nei nostri cuori».
L’immortale spirito del Filadelfia.
«Un sentimento che ha fatto evolvere il tifo in fede.
Cos’è rimasto di antichi valori, come l’attaccamento alla maglia?
«Nulla. Di giocatori che restano a vita fedeli a una squadra non ce ne sono più».
Roba per nostalgici. Conta il business.
«Ma i soldi non sono tutto. E poi è assurdo vedere nel nostro campionato squadre interamente composte da giocatori stranieri».
Gli attaccanti italiani sembrano una razza estinta, ai tuoi tempi invece...
«Allora ogni club aveva un bravo centravanti fatto in casa, gli stranieri erano pochi. Oggi ci sono solo loro. E così i nostri talenti non trovano spazio e Mancini deve convocare gli oriundi».
In nazionale sei stato utilizzato meno di quanto avresti meritato. C’è amarezza?
«Tanta. Ho fatto due mondiali in tribuna negli anni in cui vincevo regolarmente la classifica dei cannonieri. Bearzot preferiva il blocco Juve. Non ho mai capito il perché, anzi, l’ho capito bene... Subiva pressioni. Tanto che a un certo punto gli dissi: Mister, se le cose stanno così, non mi convochi più. E così poi avvenne. Avventura azzurra finita».
È vero che un giorno venne da te Guardiola per conoscere la formula vincente dei «gemelli del gol» (Graziani-Pulici) e il segreto del cuore Toro?
«Certo. Ne parlammo a lungo e lui riuscì a far germogliare nel suo Barcellona il seme di quei consigli. Anche Messi mi ringraziò».
Perché il Torino decise di fare a meno della tua esperienza?
«Il presidente Pianelli, per me un secondo padre, aveva venduto la società, ma il mio cartellino me lo aveva ceduto a titolo gratuito. Il direttore sportivo Luciano Moggi questa cosa non la digerì perché lui non poteva guadagnarci nulla e allora fece in modo di cedermi. Per me e i tifosi fu un dolore enorme. Non mi sarei separato dal Toro per nessuna ragione al mondo. Ma l’amore è sempre rimasto. Anzi, è aumentato».
Con Gigi Radice prima di entrare in campo vi davate una testata.
«Era il modo migliore per scambiarci le idee...».
In un celebre derby Giagnoni tirò un cazzotto a Causio.
«Il barone gli disse una parolina di troppo. E il cosacco non gradì...».
In quello stesso derby, vinto dal Toro, si vede Giagnoni che mentre esulta perde il suo mitico colbacco. Poi torna indietro e non lo trova più. Parolacce a non finire... Come andò a finire?
«Glielo avevamo nascosto noi. Fu uno scherzo crudele. Lui era attaccatissimo a quel cappello.
In una trasferta Radice proibì all’albergatore di consegnarvi la chiave del frigobar. E allora tu...
«Io portavo sempre una cassettina con vari tipi di cacciavite. Il frigobar lo aprii così...».
Scirea, juventino doc, ma tuo amico.
«In campo ce le davamo di santa ragione. Ma poi finiva lì. In una partita mi spaccò il naso con una testata. Quando in ospedale rinvenni dopo l’operazione a fianco al letto c’erano due persone: mia moglie e Gaetano».
Che opinione hai sul «caso Juve?»: quei 15 punti prima tolti, ora ridati, poi chissà...
«Accuse gravi. Se provate, andrebbero retrocessi in serie B».
Oggi cosa ti rende felice?
«Allenare i bambini. Lo faccio da oltre 30 anni nella scuola calcio della società Tritium a Trezzo sull’Adda. Vedere i piccoli crescere attraverso lo sport è meraviglioso».