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 2023  aprile 23 Domenica calendario

Intervista a Neri Marcoré

Neri Marcorè chiude oggi a Milano la tournée della Buona novella, lo spettacolo ispirato all’album di Fabrizio De André. Contemporaneamente è in sala nel film Quando di Veltroni, registra qualche puntata di Art Night (su Rai5) e porta avanti la postproduzione di Zamora, la sua prima regia, dal libro di Roberto Perrone, ambientato a Milano negli anni 60. Una pausa quasi di vacanza a Monaco, giurato al Festival della Commedia di Ezio Greggio.
Quando è entrata nella sua vita la musica?
«Da sempre. Già ai tempi del cabaret mi esibivo accompagnandomi con la chitarra. Da Gaber e Un certo signor G a Quello che non ho che abbinava De André a Pasolini, gli spettacoli con Barbarossa o i concerti in senso più stretto in cui suono la musica che più amo, è un filone parallelo da 15 anni. Penso che non ci sia mezzo più emozionale della musica, per questo il teatro-canzone lo sento congeniale».
De André è sempre attuale?
«I suoi testi si scagliavano contro un potere granitico, reazionario e schematico – le superpotenze contrapposte, la guerra fredda e dietro l’angolo gli anni di piombo: era forse più facile individuare contro cosa e chi lottare. Oggi quel potere si è frammentato ed è sfuggente. La comunicazione anche in politica passa dai social, in apparenza per avvicinare il “Palazzo” alla gente. E invece si fa più difficile distinguere il falso dal vero, la propaganda dalle riforme effettive. Tutto può essere falsificabile».
Lo si è visto in questi giorni, con foto così realistiche create dall’I.A. Cosa ne pensa?
«È sempre difficile valutare gli effetti del progresso. Internet è stata salutata come l’invenzione di fine millennio e poi per certi versi è sfuggita di mano. Eppure ci è indispensabile. Lo stesso può essere per l’I.A.: positiva a condizione che la si maneggi con cognizione di causa. Se no il rischio è ritrovarci in una distopia alla Philip Dick. Quindi ben venga una pausa di riflessione».
Non crede che il rischio di informazione falsata esista già?
«I social e certa comunicazione ci inducono a guardare il dito e non la luna: a discutere del nulla e non delle cose essenziali. È il rumore di fondo di finte polemiche che durano un giorno ma intanto distraggono. Pensiamo all’uso pretestuoso della religione: se ne invocano in continuazione i principi etici, ma l’obiettivo è solo il consenso facendo leva sui lati più bigotti e conservativi dell’elettorato».
C’è sdegno nelle canzoni di De André, per cosa s’indigna lei?
«Del nostro presente mi indigna il tifo da stadio invece del confronto, il muro contro muro, lo scontro con cui la politica affronta ogni problema: ciò rende impossibile ogni dialettica e qualsivoglia crescita. Mi indigna che l’obiettivo sia solo schiacciare l’avversario per irriderlo, o – come si usa dire – per “asfaltarlo”. Non si ragiona insieme per raggiungere un compromesso, ma si parla per slogan (e torniamo ai social) per dimostrare di avere ragione. Mi indigna l’arroganza del potere per il potere: e se non ce l’hai devi piegare la testa. Ne conseguono i diritti delle persone calpestati: su famiglia, genere, donne è come se il vento della storia avesse preso a soffiare indietro. Mi indigna che alle nuove generazioni non venga lasciato spazio progettuale: con gli stipendi così bassi, un precariato imperante e pochissimi margini per risparmiare e costruirsi un futuro, se non hanno una famiglia alle spalle sono costretti a vivere quasi giorno per giorno».
Credo parli pensando ai suoi figli, più o meno ventenni. Com’era lei alla loro età?
«Avevo l’impressione di essere in procinto di costruire qualcosa. Vedevo tutte le porte davanti a me aperte: pensavo di fare il traduttore, sono finito attore, che era una passione parallela ma non la prima. Se guardo indietro, vedo il figlio fortunato dell’era analogica».
Veltroni ha lasciato la politica per il cinema. Renzi continua a dirlo ma non lo fa. Come mai secondo lei?
«Saper costruire una strada diversa è tipico delle persone intelligenti e curiose. Conosco bene Veltroni e le arti erano una sua passione già ai tempi della politica. Poi parliamo di personalità diverse, con età diverse. Forse Renzi lo dice ma non lo pensa. Forse una parte vorrebbe staccarsene, ma non ci riesce perché magari per lui non è ancora il momento».
Che ne è delle sue celebri imitazioni?
«Sono state importanti all’inizio della mia carriera ma ora, se non è qualche amico a chiedermelo, preferisco starne lontano. Vedi Draghi: Floris mi ha fatto una corte spietata. Sono vittima degli amici». —