La Stampa, 23 aprile 2023
Intervista a Teresa Vergalli
Il suo nome di battaglia era Annuska. Teresa Vergalli non aveva nemmeno 17 anni quando fu arruolata come staffetta partigiana. Accompagnava in bicicletta i comandanti lungo sentieri nascosti, partecipava ai sabotaggi, come ha raccontato nel libro “Una vita partigiana” (Mondadori) pubblicato agli inizi di aprile. Oggi Teresa Vergalli ha 95 anni e ammette il dolore per i rigurgiti di fascismo che si stanno facendo strada in un’Italia sempre più distratta, indifferente, ignara.
Avete combattuto per liberare per sempre l’Italia dai fantasmi del passato, invece i fantasmi sono sempre lì, ogni giorno più forti e potenti. La presidente del Consiglio sostiene che alle Fosse Ardeatine furono ammazzati degli italiani, il presidente del Senato che a via Rasella fu uccisa una banda di musicisti pensionati.
«I capi della destra rilasciano queste dichiarazioni in parte perché ci credono loro stessi e in parte per rafforzare nel loro elettorato queste convinzioni sbagliate. Il dispiacere più grande è rendermi conto che l’opinione pubblica non conosce la storia di quel periodo»
Da che cosa dipende secondo lei questa ignoranza?
«La storia non è stata raccontata bene, non è stata insegnata nelle scuole. Per un certo periodo noi partigiani siamo andati a parlare con gli studenti portando le nostre testimonianze. Ora siamo vecchi, molti se ne sono andati, quindi anche il nostro ruolo nell’informare sta scomparendo. Tutto questo mi addolora ma ha radici lontane».
Ci sono stati errori nel passato?
«La Resistenza non è stata valorizzata come avrebbe dovuto, forse abbiamo delle colpe anche noi. Siamo stati troppo buonisti, ci siamo nascosti o non abbiamo voluto vantarci. Forse avremmo dovuto farlo di più. Non è vero, come sostengono alcuni, che la nostra lotta non ha avuto un ruolo sull’esito della guerra. Invece è stata fondamentale, ha permesso al conflitto di concludersi prima. Se non ci fosse stata la Resistenza o se fosse stata meno incisiva, Hitler avrebbe potuto andare avanti nella sua opera di distruzione dell’Italia».
Perché vi siete nascosti dopo la fine della guerra?
«Terminata la guerra, c’era da ricostruire ma c’era anche da dimenticare. Le sofferenze pungono anche in seguito, non solo nel momento in cui si vivono gli orrori, le violenze, le privazioni. Si soffre anche a ricordare quindi molti di noi hanno preferito pensare soltanto a ricostruire, a rinascere e non a ricordare. Poi, bisogna sottolineare che non c’è stata una guerra civile fra fascisti e partigiani. Da un certo punto di vista è stato positivo, ma è chiaro che tutte le leve organizzative e amministrative sono rimaste nelle mani di chi c’era prima, ovvero di persone che avevano simpatizzato con il fascismo. Questo nodo è rimasto irrisolto».
Quella a cui stiamo assistendo quindi è la guerra civile che non c’è stata oltre settant’anni fa?
«Sì. Per fortuna solo a parole e spero che si resti sul piano dei termini sbagliati, della dialettica, della contrapposizione politica. Fa parte della libertà. Speriamo, però, che gli italiani giudichino i fatti e che la destra non riesca a sconvolgere le basi, i pilastri della nostra Costituzione con riforme assurde e pericolose».
A che cosa si riferisce?
«Alle proposte di modifica della Costituzione, compresa quella che vuole introdurre l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Vediamo oggi quanto è importante avere un presidente obiettivo, equidistante, intelligente, attento ai valori della democrazia e della libertà e quanto, invece, sarebbe pericoloso attribuire a una folla disinformata il potere di scegliere i capi. Impariamo dalla storia, non commettiamo gli stessi errori».
Il presidente del Senato Ignazio La Russa sostiene che nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo. «Eh, non c’è la parola. C’è tutta la sostanza, però. C’è il contrario del fascismo».
Le fanno paura questi tentativi continui di mistificare i fatti?
«Certo che mi fanno paura. Mi domando se prima di votare le persone si informino. Purtroppo è vero che la democrazia è difficile, richiede l’uso del cervello, della capacità di informarsi, di capire, di riflettere. Il mondo moderno basato sulla ricchezza mette in ombra queste necessità».
Che cosa farà il 25 aprile?
«Mi riposerò, starò in famiglia».
Che cos’è per lei il 25 aprile?
«È un bel ricordo. È il giorno in cui sono andata a casa dopo essere rimasta quasi quattro mesi in montagna. Mi sono lavata, ho mangiato finalmente in modo più normale».
Il governo dovrebbe chiedere scusa per il male compiuto dal fascismo, come ha chiesto la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni in un’intervista a La Stampa?
«In Italia si devono fare tante cose. Anche chiedere scusa, sì».
E che altro?
«Manca, per esempio, un museo della Shoah come in Germania dove si insegna quello che è accaduto. E poi bisogna pretendere che nelle scuole si studino di meno gli Etruschi e di più i fratelli Cervi».
Iole Mancini, nell’intervista pubblicata ieri sul nostro giornale ha definito chi è al governo «presuntuoso» e ignorante». È d’accordo?
«Presuntuosi, ignoranti ma anche molto furbi». —