la Repubblica, 23 aprile 2023
Sulle tracce di Kundera. Intervista ad Ariane Chemin
Milan Kundera ama citare Flaubert: «L’artista deve disporsi in modo tale da far credere ai posteri che non è vissuto». Da quasi quarant’anni lo scrittore è diventato uno “scomparso volontario”, come scrive Ariane Chemin già autrice di raffinate e documentate inchieste su Michel Houellebecq, Romain Gary e Jean d’Ormesson. InNome in codice: Elitar I. Sulle tracce di Milan Kundera (Nr Edizioni), Chemin viaggia da Praga a Rennes, dalla Corsica a Belle-Île-en-Mer, incrociando editori e cineasti, compositori e pianisti assassinati, vecchi dissidenti e spie pentite, per ricostruire l’eclisse di Kundera, avvenuta nel 1984 sull’onda del successo de L’insostenibile leggerezza dell’essere. «Sono in overdose di me stesso» aveva confidato all’epoca, e quindi svanire, non poi tanto lontano. A 94 anni, Kundera continua a vivere Parigi, sua città d’adozione, frequentando pochi fidati amici e mantenendo la promessa di non apparire più in pubblico. «Mentre i suoi personaggi inebrianti restano impressi nella memoria, lui è diventato uno scrittore fantasma», esordisce Chemin, firma di punta di Le Monde, che coltiva il gusto del dettaglio anche in questo breve e prezioso racconto intorno all’assenza, nella bella traduzione di Francesco Maselli.
Prima di essere un libro, è stata un’inchiesta per il suo giornale. Cosa stava cercando esattamente?
«Un giorno, non molto tempo fa, mi sono imbattuta in Milan Kundera camminando in una strada parigina. Era impigliato nel braccio della moglie, una coppia incatenata
nello stesso destino. Sono rimasta sorpresa:
L’insostenibile leggerezza dell’essere è uno dei libri preferiti della mia giovinezza, ma pensavo che il suo autore fosse scomparso da tempo. Kundera è nato nel 1929. Tutta la tragedia dell’Europa centrale è impressa nella sua vita: l’invasione nazista, la guerra, l’ingresso delle truppe sovietiche e il colpo di Stato a Praga nel 1948, la Primavera di Praga... Ho voluto proporre aLe Monde di ripercorrere la vita di questo testimone di un secolo sommerso, la tragedia anche degli esuli. In questa fase della sua vita, Kundera non sa più esattamente dove vive o chi è.
Parla ceco, mentre prima parlava francese».
Lei si occupa anche di politica, ha firmato inchieste esclusive sul potere. È difficile indagare sugli scrittori? Per l’inchiesta su Houellebecq si è scontrata con il suo rifiuto di parlarle e l’omertà nel mondo letterario.
«I critici letterari francesi non amano che i giornalisti si interessino ai romanzieri. Lo scrittore viene messo su un piedistallo. Solo la sua opera conta. L’ideologia estrema di Houellebecq è stata a lungo un segreto industriale ben custodito dai suoi editori, amici e agenti. Per Kundera, uno degli autori francesi più letti – 14 romanzi tradotti in 44 lingue – è come se la sua vita fosse iniziata nel 1968, con la pubblicazione deLo scherzoo, soprattutto, con il suo arrivo in Francia nel 1975. Come se i suoi primi quarantasei anni non avessero avuto importanza».
Non è riuscita a ottenere un incontro con Kundera, ma ha conosciuto la moglie Vera, uno dei personaggi principali del libro.
«Vera “Kunderova” protegge il marito dai curiosi, dal mondo esterno. È un’ex giornalista e quindi sa farlo molto bene.
Quando le ho chiesto un caffè per spiegarle il mio progetto, ha iniziato una sorta di gioco a nascondino, un giorno arrabbiata, l’altro divertita. Ho ricevuto messaggi pieni di emoticons, che ho inserito nel libro. Prima di essere la persona che ora veglia 24 ore su 24 sulla vecchiaia solitaria del marito, perché Kundera non esce più di casa, è stata la sua sceneggiatrice, la sua agente e soprattutto l’ispiratrice di tutti quei libri che esaminano l’amore, il desiderio e la gelosia. Mi piace la scena in cui Kundera si trova a Belle-Île-en-Mer e inventa ilLibro del riso e dell’oblioad alta voce, in costume da bagno, all’aperto, mentre Vera, sorseggiando un bicchiere di vino bianco, batte a macchina il testo. Alcuni libri sono una partita a ping pong tra lui e lei, ne sono certa».
Il titolo dell’edizione italiana riprende il nome in codice che la polizia politica di Praga aveva dato al giovane Kundera. Lei ha potuto consultare i rapporti dell’epoca.
Cosa ha scoperto?
«Mi sono immersa in questi enormi faldoni con un po’ di voyeurismo: è molto istruttivo ma anche imbarazzante leggere migliaia di pagine che tracciano l’intimità di vite altrui: gli orari di entrata e uscita dall’appartamento, il nome del cane, il colore dell’auto, insieme a tanti errori. La cultura burocratica dell’inutile. Ho imparato soprattutto una cosa: le autorità volevano davvero che Kundera lasciasse il Paese. Kundera non è un refuznik, non è Václav Havel, il futuro presidente, l’uomo che resisteva dall’interno, e con cui tra l’altro non andava molto d’accordo».
Nel 2008, il settimanale praghese Respekt ha riportato un rapporto della polizia secondo cui Kundera avrebbedenunciato un agente occidentale nel 1950, cosa che lo scrittore ha sempre negato. Nel libro non prende posizione su questo caso?
«È una vicenda confusa, subito spazzata via in Francia da alcuni articoli di intellettuali e scrittori francesi, da sempre uniti intorno a Kundera: Alain Finkielkraut, Bernard-Henri Lévy, Yasmina Reza. Kundera è molto più popolare nel suo Paese d’esilio che nel suo Paese natale, dove è stato membro del Partito Comunista fino al 1970».
Scomparire è anche un modo per governare l’immagine pubblica. Kundera ha continuato a esercitare un controllo maniacale sul suo lavoro, arrivando fino a cancellare personaggi dai suoi libri.
«Non solo. Ho scoperto che, nel corso delle traduzioni, intere parti di testo scomparivano. Si è persino rifiutato di inserire un apparato critico nella sua Pléiade. Kundera è un vero “maniaco del controllo”. Non sarà possibile lavorare sulla maturazione dei suoi testi – prime bozze, annotazioni – perché sua moglie ha distrutto tutti i documenti amministrativi e tutte le tracce delle bozze».
Ha finalmente compreso le ragioni profonde di questa scomparsa volontaria?
«Altri scrittori hanno scelto di scomparire come Kundera. Ma lui ha cancellato il suo passato, come se avesse paura di essere cercato. In questo senso, è rimasto un uomo del sistema comunista che, avendo dovuto nascondere dei segreti, rimane sospettoso per tutta la vita. Ha paura del diktat della trasparenza totale perché sa che è il miglior alleato del totalitarismo».