Tuttolibri, 22 aprile 2023
Com’erano veramente i libri di Kafka
I protagonisti di Franz Kafka – il Josef K. de Il processo, l’agrimensore K. de Il castello — sono sempre raccontati in terza persona. E forse anche per questo sono inafferrabili. Eppure, per fare un esempio, nei manoscritti di Kafka esiste una variante, un semplice frammento, in cui l’agrimensore K. narra in prima persona: «Ero già diventato così diffidente che per un po’ rimasi a guardarli per stabilire se quella osservazione non fosse stata fatta intenzionalmente per me...». Ed esistono, sempre nello stesso «tesoretto» di varianti, frasi eliminate, scene rivoluzionate, personaggi inediti.
A dare conto di tutte queste versioni parallele, dei ripensamenti, delle alternative scartate o accantonate (oppure solo omesse da Max Brod, che curò le prime edizioni postume di Kafka), ci pensa ora un’edizione di Tutti i romanzi, tutti i racconti e i testi pubblicati in vita di Franz Kafka, curata da Mauro Nervi, in libreria il 26 aprile per Bompiani nella collana «Classici della letteratura europea» diretta da Nuccio Ordine: bastano le dimensioni del volume, oltre 2.300 pagine, per capire che siamo davanti a novità cospicue, quasi a un nuovo Kafka.
«Questa è la prima edizione organica – spiega Nervi – tratta dall’edizione critica dei testi kafkiani, e non da quella di Brod. Premessa: alla morte di Kafka erano pubblicate solo tre raccolte di racconti e alcuni racconti sparsi, ma i tre romanzi erano tutti incompiuti e inediti. Il suo migliore amico Max Brod pubblicò l’intero lascito manoscritto a cominciare da Il processo, l’unico romanzo dotato di finale, intervenendo però sul testo in molti punti, cambiando la struttura, definendo un ordine dei capitoli, per massimizzarne la leggibilità, com’era normale per un autore all’epoca quasi ignoto. Nello stesso modo Brod è intervenuto su tutto il resto». Un’operazione di cosmesi che però non era filologica.
L’edizione Brod, prosegue Nervi, è rimasta a lungo la base di tutte le edizioni tedesche e quindi di tutte le traduzioni, pure italiane, anche dopo il 1982, data a partire dalla quale gli studiosi cominciarono a mettere mano al lascito manoscritto di Kafka, cioè all’originale senza la «cosmesi» di Brod. «In quest’edizione, per la prima volta in Italia si viene a conoscenza del testo originale così com’è, con tutte le sue esitazioni e incompletezze o le varianti cancellate, qui preservate nella maniera più rigorosa possibile». Oltre ai romanzi e ai racconti, con testo a fronte e traduzione dello stesso Nervi, il volume contiene infatti in modo organico, in appendice, tutte le varianti. Tantissime.
Nella «stanza del principe»Sono «brani alternativi» che raccontano spesso altre storie e altri punti di vista. «Un esempio – prosegue il curatore – è ne Il castello, che nel manoscritto comincia in modo del tutto diverso: c’è il cosiddetto “frammento della stanza del principe”, che si estende per diverse pagine, in cui l’agrimensore K. arriva nel villaggio e viene accolto in una stanza dell’osteria definita come “la stanza del principe”. Dopodiché, Kafka decide di cancellare tutto. E fa dormire l’agrimensore K. nella mescita, in mezzo ai contadini. Oppure, appunto, studiando i manoscritti si scopre che per quasi tre capitoli Il castello è scritto in prima persona, e solo a un certo punto Kafka decide di cambiare tutto e passare alla terza persona».
Secondo il curatore, le varianti possono aiutare a comprendere meglio lo stile di Kafka e la sua tecnica. «È interessante sapere a che punto Kafka decide di passare dalla prima alla terza persona: quando si profila un rapporto sessuale di K. con la ragazza della mescita della locanda. Nella psicologia di Kafka, questo passaggio decisivo, che cambia la struttura della trama e la prospettiva, non può essere narrato in una forma così intima e vicina come quella della prima persona, ma richiede un distanziamento, concetto che in Kafka è molto importante. C’è una specie di regola nel testo kafkiano: quando aumenta la componente emotiva o il “disordine”, cioè gli aspetti più inquietanti del narrato, il testo si distanzia, assume un atteggiamento più tranquillizzante; una specie di azione uguale e contraria».
La ricomparsa del cannibaleMolto si comprende della tecnica del «distanziamento» di Kafka proprio grazie alle modulazioni che si scoprono nelle varianti. «Per fare un altro esempio molto noto, nella Metamorfosi, dove il contenuto del narrato è, per dirla con Freud, “perturbante”, la parola più frequente nella prima parte è “tranquillità”, (“doveva restare tranquillo”, “l’importante è restare tranquillo”...). Questo lavoro di analisi e censimento di tutti i punti in cui Kafka ha cambiato idea, è molto istruttivo: si capisce che la linea generale di fondo della correzione kafkiana è il levare: l’autore tende sempre a scarnificare il testo e a renderlo il più essenziale possibile, preferendo togliere che aggiungere, fino a renderlo cristallino, limpido».
Tanto erano importanti i «brani alternativi» nella dinamica dei romanzi, che anche Brod, già dalla seconda edizione del Processo, ne ha aggiunto qualcuno. «Però questa è la prima volta che in italiano si riportano non una scelta ma tutte le varianti “che danno senso in traduzione”: cioè tutte quelle che cambiano il significato del testo. Così il lettore entra nel laboratorio di scrittura di Kafka, ed è un’esperienza di lettura affascinante: è la raccolta sistematica di tutti gli strati di testo cancellati, riscritti, variati, intensificati, depotenziati o cassati. Da una lettura bidimensionale del testo si passa a una visione tridimensionale, a tutte le possibilità che hanno attraversato la fantasia di Kafka anche soltanto per un istante».
Si scoprono anche personaggi inediti. «Prendiamo il racconto Un digiunatore: Kafka aveva scritto un frammento, mai pubblicato, ritrovato nel lascito manoscritto, che ho voluto aggiungere perché cambia in modo importante l’interpretazione del testo, lo illumina di una luce nuova. Entra in scena infatti il vero antagonista del digiunatore, che non è la persona golosa o vorace, sarebbe banale, ma è il cannibale, un omino (con i capelli rossi, selvaggi, una descrizione davvero bellissima), che va a trovare il protagonista che digiuna e, paradossalmente, è l’unico a instaurare con lui un rapporto di scherzosa intimità. Questa variante “cassata” illumina la natura del personaggio. Ma ci sono altri spunti: anche il racconto Nella colonia penale ha un finale alternativo, i casi sono veramente tanti».
Si potrebbe obiettare: per quale altro autore della modernità si fa un lavoro di questo genere? Tanto più che Kafka chiese all’amico Brod di «bruciare tutto» nei famosi bigliettini che gli affidò quale testamento. «Proprio questa – risponde Nervi – è una giustificazione importante, l’esistenza dei due famosi bigliettini che chiedevano la distruzione completa di tutto il materiale non pubblicato. Se Kafka ha lasciato tale indicazione testamentaria, è come se avesse cassato tutto: a questo punto non c’è una vera differenza tra ciò che ha cassato nel manoscritto e ciò che non ha cassato: tutte le varianti possibili hanno un’importanza teorica equivalente».
La statua con la spadaUn elemento che emerge dalla nuova edizione è la personalità di Kafka, sempre alla ricerca della perfezione: «L’elemento rilevante in lui è l’attenzione. In un passo cassato del Castello, che appunto si legge in appendice, scrive: “Se si osservano le cose con attenzione, senza mai chiudere le palpebre, allora si vede molto”. Questo è il suo sforzo, un’attenzione spasmodica. Ecco perché ha pubblicato così poco: perché era di un perfezionismo esasperato: i racconti Brod glieli strappava di mano perché per lui non erano mai perfetti. E se qualcosa non torna, possiamo essere sicuri che è intenzionale: all’inizio de Il disperso (o America), il protagonista vede la Statua della libertà; ciò che sfugge al lettore è che la statua in Kafka regge una spada, non la fiaccola. Sembrerebbe un lapsus ma non lo è. Questo è uno dei pochi testi pubblicati in vita: l’errore era intenzionale, la statua in Kafka rappresenta la giustizia, non la libertà».
In queste pieghe minuscole – conclude Nervi – si nascondono «le apparenti incongruenze che contribuiscono a creare l’atmosfera che chiamiamo kafkiana».