il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2023
Biografia di Christopher Isherwood
“Come scrittore, per me non c’è mai stato un problema di omosessualità, ma di alterità, di vedere le cose da un punto di vista obliquo. Se l’omosessualità fosse la norma, non avrebbe interesse per me”. È in virtù di questo tumulto interiore che Christopher Isherwood – nato nel 1904 in una famiglia della borghesia inglese – all’età di 25 anni si lascia alle spalle il milieu puritano nel quale è cresciuto e sale a bordo di un treno con destinazione Berlino. La capitale tedesca – sotto il governo liberale della Repubblica di Weimar – è l’approdo agognato di artisti e di giramondo per la sua nomea di città tollerante e trasgressiva.
La permanenza in Germania propizia una fecondità creativa. L’autore, nel 1933, si mimetizza dietro l’alter ego dell’inglese Bradshaw, co-protagonista de Il signor Norris se ne va: romanzo che segue l’ambiguo Norris, avventuriero imbroglione che, incurante del microcosmo in rovina che lo circonda, compie con distratto cinismo e scarsa fortuna le sue piccole truffe. È lo stesso Isherwood l’io narrante di Addio a Berlino del 1939: “Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto; non penso, accumulo passivamente impressioni”. Un diario scandito in sei capitoli nel quale colui che scrive, tra cabaret e pensioni malridotte, conosce artisti di belle speranze, intellettuali disincantati, aspiranti rivoluzionari.
Isherwood osserva e annota la fine di un’epoca, minacciata dal nazismo incombente. Un’opera che deve la sua statura di classico del Novecento anche a Cabaret, la versione cinematografica che nel 1972 ne ha tratto Bob Fosse. Sally Bowles, la soubrette che incanta gli spettatori nei caffè notturni di una Berlino cosmopolita, è eternata sul grande schermo da Liza Minnelli. Giorgio Manganelli in una sua postfazione d’epoca asserisce che Isherwood è “un intenditore di fatuità e di chiacchiere”, sebbene allo stesso tempo “affascinato dalla tragedia”. Controprova ulteriore è La violetta del Prater del 1945. Comincia con una cronaca frivola sulla lavorazione di un film che nessuno ha voglia di fare per cadere bruscamente nella tragedia della croce uncinata. Ecco allora che Il mondo di sera – Adelphi riporta meritoriamente in libreria questo romanzo del 1954 tra i più trascurati della sua bibliografia – forse può essere letto come un esorcismo perché Isherwood “non ha nessun entusiasmo per la Storia; al contrario nutre nei suoi confronti un elegante e amaro scetticismo”. La vicenda di Stephen Monk e della sua compianta prima moglie nonché scrittrice Elizabeth, è il pretesto per una implicita catarsi. Rivelatrice una frase, sollecitata a Monk da una giovane profuga tedesca negli Usa rispetto alle reticenze sul nazionalsocialismo in un vecchio romanzo della moglie scomparsa: “Sapeva che i grandi numeri e le vaste dimensioni in realtà fanno sì che ai nostri occhi una tragedia appaia meno reale”.
Il nomadismo da espatriato di Isherwood può in effetti essere interpretato come una fuga più o meno vigliacca dai furori della Storia. Amico e amante del poeta W. H. Auden, intraprende con lui un viaggio in Cina nel 1938 testimoniato da un libro a quattro mani, Viaggio in una guerra. L’anno successivo emigra negli Stati Uniti, in California. Lavora come sceneggiatore a Hollywood e qui si converte all’induismo aderendo alla filosofia Vedanta. Nel 1953 incontra uno studente di disegno di 19 anni, Don Bachardy, in seguito pittore affermato, col quale convive fino alla morte per cancro nel 1986. Il suo titolo più bello e memorabile resta Un uomo solo del 1964. Da noi arriva tradotto nel 1981 in una collana diretta da Franco Cordelli per Guanda. È la storia di George, un sessantenne professore inglese trapiantato in California che, dopo la scomparsa del compagno Jim, è combattuto tra la frustrazione di insegnare a studenti svogliati e il desiderio intermittente ma ancora bruciante per i corpi maschili. Dal romanzo un fortunato film diretto da Tom Ford con protagonista Colin Firth. Cordelli, scrivendo del professore protagonista ha involontariamente ritratto la stessa parabola dell’ultimo Isherwood: “È solo perché è vecchio, perché è straniero, perché è un intellettuale, perché è un omosessuale, perché ha scelto di essere solo. La solitudine è la sua resistenza”.