il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2023
Il 1° maggio il cdm lavora per cancellare il reddito
Va riconosciuto che il livello di improntitudine della Megghi Tàccere de noantri stavolta pare eccessivo pure per chi ha piazzato La Russa a presiedere il Senato. Il governo ieri ha fatto sapere infatti che “Giorgia Meloni ha programmato per il prossimo 1° maggio una riunione del Consiglio dei ministri al cui ordine del giorno saranno inseriti provvedimenti in materia di lavoro e politiche sociali”. L’idea è di approvare, nel giorno della festa dei lavoratori, non solo il taglietto al cuneo fiscale da 3 miliardi e spicci finanziato dalla maggior crescita stimata nel Def (da vendersi poi a Tg unificati), ma anche il decreto a cui sta lavorando la ministra Calderone, un manufatto che si può approvare il 1° maggio solo come sfregio alla giornata. Quel decreto, fanno fede le bozze, fa infatti due cose: taglia il sostegno pubblico alla povertà e allarga le maglie del precariato, in sostanza diminuisce il potere negoziale del lavoro.
Il grosso del testo serve a introdurre – al posto del vituperato “Reddito di cittadinanza” che tiene la gente sul divano – la “Gil”, acronimo littorio che sta per Garanzia per l’inclusione (ma c’è pure la “Gal” da 350 euro per 12 mesi destinata ai reprobi detti “occupabili”): all’ingrosso significa meno famiglie aiutate, con meno soldi e per meno tempo. Ciliegina sulla torta dei sostituenti etnici: chi ha più figli sarà ancor più penalizzato di oggi. Un articolo provvede poi a togliere di mezzo le “causali” dei contratti a termine (cioè il motivo per cui li si usa) grazie ad accordi a livello aziendale e addirittura individuale, purché “certificati” dai consulenti del lavoro, cioè la categoria già guidata dalla ministra e oggi dal marito Rosario De Luca. Si torna, di fatto, al Jobs act: evidentemente Meloni è renziana, ma neanche Renzi avrebbe festeggiato il 1° maggio con un decreto per la deflazione salariale. Per questo ti serve la Tàccere: speriamo che non trovi le sue Isole Falkland…